Intervista a Moe/Hanniballetters ZSE – Bologna
di Pietro Rivasi
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Quando hai sviluppato interesse verso il writing e/o arte urbana più in generale?
Se dovessi considerare quando i pezzi visti in giro o sui giornali di skate hanno attratto la mia attenzione, potrei dire tranquillamente alla fine degli anni ’80.
Sono appassionato di skate da quando avevo 10 anni e sui giornali di settore già si vedevano le prime foto, spesso dal nord Italia o dall’Europa.
Poco tempo dopo, agli inizi degli anni ’90 quando avevo 13 anni, ho iniziato a fare i primi bozzetti. Solo al primo superiore sono riuscito a capire precisamente da dove provenissero e culturalmente a cosa fossero legati.
I riferimenti, parlando di riviste, sono sicuramente Skate & Snowboard e Skate, in cui comparivano foto di pezzi e rubriche dedicate all’hip hop e al writing.
Come era la situazione nella tua città all’epoca, c’erano già segni riconducibili a questi movimenti quando tu hai cominciato?
Sì. Io sono cresciuto in provincia, ma la scena di Pescara aveva già fatto tanto. Ho quindi potuto vedere dei pezzi già belli e completi quando ero ancora agli inizi. Per farsi una idea basta fare un giro su @pescarart
Quali sono i primi segni che hai visto dal vivo e ti hanno colpito e perché?
Quando ho visto il primo pezzo, il 99% dei muri erano monocromatici. Il fenomeno in Italia era davvero poco diffuso quindi vedere dal vivo un pezzo creava grande interesse, sia perché era una rappresentazione inusuale, sia perché spesso lo stile e i colori mi piacevano. Se ci penso a fondo, io sono sempre stato attratto anche dalla bella calligrafia delle persone con cui venivo a contatto. Posso dire che la scrittura mi ha sempre affascinato
Credi che ci siano stati dei locali o delle situazioni, istituzionali o meno, che possano aver contribuito al loro sviluppo?
Specie quando era più raro venire a contatto con persone appartenenti all’ambiente del writing, creare situazioni di incontro o posti in cui era possibile incontrarne ha sicuramente contribuito allo sviluppo del fenomeno culturale.
Posso fare un esempio calzante: se al mio arrivo a Bologna non ci fossero stati alcuni spazi sociali (che ci tengo a sottolineare, oggi hanno molto cambiato la loro predisposizione nei confronti dei writers) non ci sarebbe stato lo stesso numero di possibilità di dipingere e di organizzare alcuni eventi, che sono stati di sicuro di supporto alla scena e al fenomeno.


Nel tempo, come è evoluto il tuo rapporto con queste forme d’espressione?
Per alcuni aspetti cerco di far si che il mio approccio rimanga quanto più simile agli inizi, credo che mi permette di conservare alcuni aspetti positivi ed entusiasmanti che il writing mi ha regalato dai primi momenti. Voglio continuare a fare con spontaneità quello che mi piace cercando sempre di migliorarmi e lasciando che questo resti sempre un confronto con me stesso, non es. una gara a chi è più bravo o è più “famoso”.
Dall’altra parte, coltivando questa passione da tanto tempo alcune cose sono cambiate: spesso mi viene chiesto di dipingere su commissione e questo in un certo qual modo cambia le cose.



Dopo tanti anni che disegni il tuo parere e il tuo modo di agire cambiano di valore per la gente. Comportarmi oggi come facevo 20 anni fa avrebbe tutto un altro tipo di conseguenze.
Hai una opinione rispetto al modo nel quale queste forme si sono evolute nell’arco degli anni, fino ad oggi?
Credo che il trascorrere degli anni e l’evolvere dell’arte murale in genere abbia portato degli indiscutibili miglioramenti stilistici. In poche parole, c’è tantissima “roba bella” e davvero interessante in giro.
Allo stesso tempo un aspetto dell’evoluzione è stata la diffusione massificata del fenomeno che non sempre ha dei risvolti positivi. Prova a chiedere a un ragazzo di 23 anni chi sono Dondi o Sky 4 o “perché non è una buona cosa copiare”.




C’è un pezzo, una tag, che per te meriterebbe di essere riconosciuto istituzionalmente come rilevante dal punto di vista socio-storico-artistico-culturale per lo sviluppo di queste forme d’espressione?
Potrei farne un elenco davvero lungo: vedere alcune foto oramai “antiche” permette di capire che passi da gigante potremmo fare andando in avanti.
Ne dico, per brevità, solo due che ricordo mi piacevano tantissimo: uno italiano e uno straniero.
The Pets Revenge di Rusty e 156 Public Enemy di Mode2 e Colter.

Puoi raccontarmi del tuo rapporto con Bologna e del tuo lavoro come organizzatore di eventi, “intestatario” di permessi per hall of fame, del rapporto con realtà istituzionali o meno, con il mondo dell’hip hop più in generale o squat, locali, negozi o gallerie?
Ti racconto un po’ in generale qual è la mia esperienza dal mio arrivo a Bologna in poi.
Mi sono trasferito a Bologna nel 2005 e gli unici spazi che mi ricordo per dipingere erano le classiche hall of fame del centro (San Donato, etc) su cui però c’erano appena stati degli scontri abbastanza pesanti fra locals e fuorisede.


C’erano ancora i centri sociali occupati, quindi in genere con un bel po’ di spazio per dipingere ed altri luoghi abbandonati: mi vengono in mente l’ex Fiat in Mazzini, il Cacubo (due grossi capannoni refrigerati uno dei due abbandonati) e via del Chiù che era ancora completamente chiusa e in stato di abbandono.

Ovviamente la prima necessità era quella di cercare spazi per non andare incontro a “problemi territoriali” (e anche perchè non mi piace affatto prendermi cose che le altre persone si sono guadagnate).
Diciamo quindi che le prime interazioni che hanno portato a qualcosa sono state con i centri sociali, che come ho detto nelle risposte alle domande una volta erano molto più aperti ad ospitare dei pezzi sia per loro conformazione (posti enormi e, senza i disegni, messi male) che per forma mentis delle persone che ci trovavi dentro.
Nei primi anni sono riuscito ad organizzare prima una piccola convention al Livello (57Art, 2006) e poi una molto grande al TPO (Smoking Minds, giugno 2007) che addirittura permise di riaprire la sala grande con un concerto di Kaos.
Nota: da questa serata e poi l’idea di creare un laboratorio hip hop all’interno del centro sociale. Una realtà che esiste ancora oggi e che ha organizzato decine di serate.


La Smoking Minds voleva ripetere quello che fu Estremamente infiammabile una jam bellissima a cui ero stato nel 2001 nello stesso posto.
Quelli erano però gli ultimi anni dei centri sociali a Bologna… dopo lo sgombero del Livello, il passaggio del TPO (2006 e 2008) alla nuova sede e la scomparsa di altri muri, gli spazi cominciavano a diventare di meno e nel frattempo si era creato un rapporto con le realtà istituzionali. Quando ho iniziato a lavorare con gli assessorati nei quartieri, che mi chiamavano a lavorare nei centri giovanili per fare dei laboratori, ho intavolato dei rapporti sempre più stretti con l’amministrazione pubblica, ottenendo degli spazi da dipingere legalmente – uno dei quali attualmente in essere è enorme – e concordando progetti.
La richiesta del mio contributo a livello artistico e culturale mi ha permesso di creare alcuni spazi che permettono al writing di poter essere espresso e, in un certo senso, di continuare e svilupparsi.
Un altro tipo di interazione istituzionale che avviene e che mi sento di citare, ma solo parallelamente, è questa: sempre più spesso vengono richieste delle pareti realizzate su commissione. Pur avendo poco a che fare con il writing che nasce spontaneamente e che ha una sua direzione “personale”, ritengo che vedere una parete disegnata, magari molto grande, crei sicuramente interesse anche in persone “non addette ai lavori” e che in qualche modo quindi permetta la diffusione del fenomeno originale.

