WRITING

Intervista a Erik (OV – WMN – RS – AKS) – Bologna
di Pietro Rivasi

Erik è un nome presente per le strade  di Bologna fin dagli anni '90 e rappresenta una manciata di crew entrate nella storia del writing
Tag
Erik
Crew
OV - RS - WMN - AKS
Città
Bologna

Intervista a Erik (OV – WMN – RS – AKS) – Bologna

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WRITING

Intervista a Erik (OV – WMN – RS – AKS) – Bologna
di Pietro Rivasi

Erik è un nome presente per le strade  di Bologna fin dagli anni '90 e rappresenta una manciata di crew entrate nella storia del writing
Tag
Erik
Crew
OV - RS - WMN - AKS
Città
Bologna
Erik_1996.jpg

Quando hai sviluppato interesse verso il writing e/o arte urbana più in generale?

Ho sempre avuto un grande interesse verso qualcosa che è scritto ed un amore particolare per le lettere, sia singole sia quando si compongono a formare un nome, un marchio o una frase. Fin da bambino ho cercato di riprodurre su carta i loghi che mi colpivano, tipo quelli delle auto, dello sport, sopratutto dell’NBA: erano i tempi di Michael Jordan, Scottie Pippen o Agassi nel tennis, si delineavano certi stili e certi accostamenti cromatici che avrebbero poi influenzato moltissimo i writers non solo nell’abbigliamento.

Il mio approccio al writing non è stato diretto ma mediato da svariati percorsi, come ad esempio copiare le lettere degli striscioni che vedevo negli stadi o sulla rivista Supertifo, che negli anni ’90 era una specie di must per chi andava allo stadio o si interessava di calcio. I gruppi ultras si distinguevano gli uni dagli altri, oltre che per i colori di appartenenza, anche per gli striscioni e gli adesivi sui quali era dipinto o impresso il nome del gruppo. Concetti non estranei al writing dove la riproduzione e la rappresentazione del proprio logo e l’appartenenza intesa come territorialità erano e credo siano ancora, valori fondanti.

Il vero amore scattò l’ultimo anno di scuola media quando mi regalarono una maglietta di Slam Jam, negozio di Ferrara noto importatore e pioniere dello streetwear in Italia. Il cartellino era stile graffiti, lettering semplice ma accattivante e leggibile, colorazione funky.

Lo copiai e lo ricopiai fino allo sfinimento, scoprendo in seguito che era stato disegnato da Deemo o da Zero-T. Forse da entrambi.Erik WMN OV

Quali sono i primi segni che hai visto dal vivo e ti hanno colpito e perché?

Vedevo le prime scritte sui muri di Bologna quando ancora mia madre mi prendeva per mano, ovviamente non riuscivo a dare un significato né alle lettere né al gesto ma ne ero affascinato e rapito. Dapprima cominciai a capire che un determinato segno si ripeteva, poi tentai di decifrarlo ma senza risultati e inoltre non c’era nessuno a cui chiedere. Era tutto assolutamente nuovo e da scoprire.

La chiave però fu il treno: infatti quando con i miei genitori ci recavamo  a Roma, Caserta e Napoli per ragioni familiari, mi attaccavo al finestrino per vedere le scritte e ad ogni viaggio ce n’erano di nuove, a Bologna ma sopratutto a Roma.

Cercavo di decodificare i nomi ed ero completamente rapito da tutti gli stili e le lettere che con aggressività si proponevano alla vista del viaggiatore.

Il movimento del treno poi accentuava la potenza espressiva di ciò che vedevo. Pensai anche che dietro quella scritta doveva necessariamente esserci un’azione che portasse alla sua realizzazione, cercavo di capire come qualcuno potesse riuscire a farlo.

In ogni caso nacque in me il desiderio di emulare ad ogni costo queste azioni. Dopo aver iniziato, ricordo che particolarmente motivanti furono i lungo linea di Parigi e di Rimini dove vidi i lungo linea di Eron TCS e dei 38 SQUAD.

Come era la situazione nella tua città all’epoca, c’erano già segni riconducibili a questi movimenti quando tu hai cominciato?

Ho cominciato sseriamente tra il ’92 e il ’93 facendo solo tag, taggavo Base o Beis, usavamo le Talken o le Sparvar che si compravano in cantina da Rusty. Il primo anno di scuola superiore è stato decisivo, nonostante fosse un liceo, infatti, era una scuola piena di fermento artistico, politico e, insolitamente, era piena di writer o di gente che lo sarebbe diventata.

Uno di loro, che all’epoca taggava Tack mi spiegò le prime cose mentre già erano attivi Cook, Tank, all’epoca compare di Longe e Anice, meglio conosciuto come Texas. Il primo alfabeto stile tag lo vidi sulla smemoranda di Tack, era stato disegnato da Tork 138, le lettere erano tutte legate una all’altra, mi fu presentato come stile olandese anche se non ne ho mai capito il motivo.

Era lo stile usato da Tork, appunto, ma anche in alcune tag di Dado, Dock, Jed, Ciufs e Rusty. Si contrapponeva allo stile detto invece americano che prevedeva lettere ben leggibili e staccate l’una dall’altra. Era lo stile usato da Blaster dei DDT.

A quel tempo in città c’era molto fermento, come nei primi anni ’90, del resto. A quell’epoca erano già leggende nomi come Deemo (Daiaky o One Shot), Rusty, Ciufs, Dock e Jed. Era attivo e in città anche Phase2.

Tutto gravitava comunque intorno ai centri sociali che erano gli unici a supportare il writing, legando in qualche modo a doppio filo i graffiti con la mentalità posse propria di quei tempi in cui il writing arrivò in Italia carico della connotazione Hip Hop che ha caratterizzato la generazione dei pionieri, venendo poi progressivamente abbandonata dalla mia generazione in poi, che ha avuto un approccio distinto.

Al moltiplicarsi dei mezzi, delle tecnologie, delle informazioni, intese come fanzine, si sono moltiplicati gli stili, gli approcci e la maniera di pensare il writing.

Credi che ci siano stati dei locali o delle situazioni, istituzionali o meno, che possano aver contribuito al loro sviluppo?

Indubbiamente. Facciamo i nomi: Isola nel Kantiere, Bestial Market, che poi è diventato il Livello 57 e il Link.

L’Isola nel Cantiere è un mito a Bologna, legato indissolubilmente al pezzo rap Stop al Panico che fece storia in tutta Italia. Una realtà in cui si è formata la prima generazione di writer di Bologna. Sinceramente l’ho vissuta molto da lontano sia per una questione anagrafica che di frequentazioni in generale.
Il Bestial Market fu teatro di una jam in cui Deemo e Ciufs disegnarono il logo dei Sangue Misto, realtà leggendaria dell’epoca nata appunto nel contesto del centro sociale. Il Livello 57 invece, ubicato sotto al ponte di Via Stalingrado, in una location meravigliosa, direttamente sulla linea Bologna – Firenze, era un sito caratterizzato da una forte connotazione sperimentale per ciò che riguarda le arti, la musica, le avanguardie in generale. Un sito in cui convivevano realtà eterogenee e a volte non complementari che però erano libere di sperimentare e non necessariamente dovevano essere ideologicamente e/o fisicamente schierate con il centro.

Nel 1996, per esempio L57 organizzò la Jam In Linea, alla quale peraltro ho partecipato insieme a Chob BBS, in cui oltre a writers del calibro di Milk e Sento, potemmo vedere all’opera Drop-C, Dork, Ens, Eron, Cromo ed molti altri. In ogni caso fu un evento epocale per Bologna e per l’italia, forse secondo solo alla Jam Indelebile a Rimini nel ’94. In conclusione il writing bolognese deve molto, volente o nolente ai centri sociali, sopratutto al Livello 57.

Doppia pagina dedicata da AL alla jam Indelebile del 1994: Gasp (NL), Fume (DE), Delta (NL), Sharp (USA), Sender (NL), Mode2 (UK), Rusty, Dado, Deko 164, Ciufs, Cromo, Heko, Hestro, China (ITA)
In Linea Jam Bologna 1996 - Xplicit Grafx
Uno dei muri dipinti per la jam In Linea al Livello 57 – Bologna 1996 – Courtesy of Xplicit Grafx

Il Link, invece, era un locale meno ideologizzato e più sperimentale, aveva dei muri meravigliosi in cui dipinsero, fra altri, Phase 2 e Vulcan. Un sito che ospitava la murata commemorativa della morte di Joe Cassano fatta da Phase 2 e Dado.

Nel tempo, come è evoluto il tuo rapporto con queste forme d’espressione?

Ho avuto la fortuna di vivere l’evoluzione tecnologica del writing dalle prime bombolette a quelle di oggi, dai cap e marker fatti a mano o comprati con mille difficoltà all’acquistare online qualsiasi tool possibile. Le marche che si sono consolidate sul mercato hanno scommesso fortemente su un fenomeno che era in espansione e fortemente osteggiato dall’opinione pubblica e dalle autorità riuscendo a migliorare una tecnologia come lo spray, che in origine non era nata per scrivere, fino a portarla al livello di oggi dove l’offerta di tinte è molto ampia e in generale la qualità è alta e all-pourpose for.

Sono positivo rispetto a questo, avendo continuato a dipingere ho goduto di tutte le migliorie tecnologiche, sempre accolte con favore.

Ciò che invece ho vissuto meno positivamente è stata l’evoluzione tecnologica in quanto media. Quando ho iniziato a dipingere le fanzine erano in bianco e nero e non avevo veramente idea di quanto fosse importante la fotografia nel writing, non solo a livello tecnico, ma anche a livello concettuale.

Per esempio ho metà delle foto dei pannelli che ho fatto, come tanti altri in quegli anni, perché siamo nati in un mondo analogico e non tutti avevano talento per la fotografia o capivano l’importanza di avere una testimonianza della propria azione.

Era l’azione in sé l’importante. Mea culpa. L’evolversi della tecnologia legata al writing e l’overdose di informazioni che dall’avvento della rete ad oggi ha permesso al writing di diventare non solo un fenomeno globale ma anche di permettere la commistione con altre realtà complementari come il tattoo, per esempio. La rete ha cambiato le regole in quanto si è passati dall’azione quasi fine a sé stessa all’azione legata alla pubblicazione sui social, prendendo questi come estremi, ovviamente.

Personalmente oggi ci sono writers odierni che mi emozionano tantissimo in rete come quelli old school sulle fanzine. C’è tantissima qualità se si cerca quella.

Il video in particolare ha permesso di portare lo spettatore direttamente in mezzo all’azione e quindi ritengo sia molto più facile immedesimarsi e passare dunque, all’azione. Non solo, il video permette all’utente di essere su una linea ferroviaria di qualche parte del mondo e vedere, a volte in tempo reale, i pannelli che partono, i treni che transitano o comunque qualsiasi azione legata ai graffiti, treni, throw up, tag etc. Permette anche di imparare con molta più facilità.

Quando iniziammo noi era difficile vedere un writer dipingere, oggi, invece posso vedere fare un’outline in diretta o capire come si fa un whole car vedendo come lo fanno gli altri. Posso preparare la mia azione con più dettaglio rispetto a prima. In sintesi sono molto postivo rispetto all’evoluzione tecnologica nel writing e credo sia una responsabilità personale seguire uno o un’altro stile o inventarsene uno proprio come dovrebbe essere.

Hai una opinione rispetto al modo nel quale queste forme si sono evolute nell’arco degli anni, fino ad oggi?

Credo fermamente che la qualità si sia elevata esponenzialmente in proporzione all’evolversi degli stili, delle tecnologie, delle tinte a disposizione e sopratutto in base al numero di players o meglio di customers delle marche di tools di writing che aumenta di anno in anno. Credo che l’essenza del writing non possa cambiare mai, l’ego ipertrofico che porta a condensare in una tag o in un throw up la propia rabbia ma anche il proprio stile è qualcosa che fa bene all’anima di chi lo fa, perché è un’esigenza.

Io credo che questa sia l’essenza primigenia del writing e da quel che vedo non è calata, anzi. Allo stesso tempo, possiamo osservare realtà di ex writers che hanno portato il loro background illegale nelle gallerie d’arte ripensando il medium “spray”, evolvendone la potenza e creando opere che possono essere definite come si vuole, per me puo’ andar bene postwriting, ma non è writing inteso nel suo senso piu’ comune, è davvero oltre. Penso a Revok, per esempio e alle sue “macchine a piu’ spray”. Resta comunque il fatto, a mio avviso, che il writing nasce come illegale, e chi ha un background di questo tipo lo trasmette nei tratti e in qualsiasi cosa produca.

C’è un pezzo, una tag, che per te meriterebbe di essere riconosciuto istituzionalmente come rilevante dal punto di vista socio-storico-artistico-culturale per lo sviluppo di queste forme d’espressione?

Credo che magazine come Xplicit Grafx, Bomber, o alcuni Aelle, dovrebbero essere elevati a testimoni della nascita di un fenomeno artistico e culturale che in Italia, come nel resto d’Europa e poi del mondo, si è evoluto declinandosi in base ai luoghi in cui si diffondeva. Istituzionalmente credo che la mia risposta non potrebbe essere accolta positivamente in quanto per me ciò che è stato davvero rilevante erano i treni che portavano e continuano a portare i nomi dei writers da una città all’altra e che davano la spinta per agire. Credo che non si possa scindere il writing dall’azione. Per questo scelgo come esempio una sequenza del video Dirty Handz che vede protagonista la tag di O’Clock realizzata in una stazione, di giorno, sopra ad un cartello informativo. La tecnica, la velocità e l’esecuzione sono per me rappresentative di quella che è l’anima del writing oggi come ieri.