AGITATORI CULTURALI, LUOGHI E SPAZI, WRITING

Intervista ad Andrea Ceresa
di Pietro Rivasi

Andrea Ceresa (Varese, 1995) si è avvicinato al mondo dell’arte grazie ai graffiti ed è uno dei più attivi, titolati e promettenti curatori a poter vantare sia l'esperienza diretta del writing sia una preparazione accademica.

Intervista ad Andrea Ceresa

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AGITATORI CULTURALI, LUOGHI E SPAZI, WRITING

Intervista ad Andrea Ceresa
di Pietro Rivasi

Andrea Ceresa (Varese, 1995) si è avvicinato al mondo dell’arte grazie ai graffiti ed è uno dei più attivi, titolati e promettenti curatori a poter vantare sia l'esperienza diretta del writing sia una preparazione accademica.
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Quando sei entrato in contatto con il writing?

Durante il primo anno di liceo linguistico ho scoperto che il mio compagno di banco aveva iniziato quella estate a fare i graffiti, qualcosa che già avevo visto in giro e per la quale provavo grande fascinazione, ma senza avere nessuna idea precisa di cosa fossero. È stata una vera svolta. Il pensiero che faccio spesso è che quella coincidenza ha fondamentalmente condizionato il resto della mia vita: quanto potrebbe essere diversa la mia vita se non fossi “incappato” nei graffiti, se non avessi incontrato Carlo a scuola? Anche perché sono uno a cui devono cadere in testa le robe, non è che me le vada tanto a cercare. È una cosa che mi dà quasi la vertigine: se non avessi incontrato il writing non so se sarei andato a studiare arte dopo, né se starei facendo niente di quello che sto facendo ora.

Hai iniziato i tuoi studi universitari a Bologna, una città con una enorme tradizione e anche una potente attualità legata al writing. Questa esperienza ha in qualche modo contribuito al tuo percorso?

Sono arrivato in Emilia Romagna nel settembre 2015 perché a Bologna c’è l’unica facoltà triennale di antropologia in Italia e pensavo fosse una figata. In effetti l’antropologia è meravigliosa, senonché nello stesso corso di laurea, che si chiama ARCO, si studiano anche le religioni e le civiltà orientali per le quali non avevo alcun interesse. Quindi, dopo aver frequentato un anno, viro e mi iscrivo a filosofia, che però c’era anche a Milano e in altri 1000 posti; ma ormai essendomi stabilizzato a Bologna e non volendo studiare a Milano, che comunque è la città che attira tutti i miei concittadini per vicinanza, sono rimasto a Bolo e questa esperienza ha certamente inciso sul mio percorso. Oltretutto quando sono arrivato, sono stato una settimana a Venezia, non ricordo se a ottobre o novembre, ma c’era la Biennale e c’era The Bridges of Graffiti. Ed è proprio in quella occasione che siamo entrati in contatto io e te e quell’incontro, a distanza di anni, ha permesso di essere qui oggi a fare questa intervista. Banalmente, l’essere a Bologna, tralasciando gli studi accademici, mi ha cambiato perché ero in un contesto diverso dal mio, dove succedevano cose che non erano le stesse di Milano ad esempio. E la filosofia certamente ha avuto un peso perché, in realtà, non mi piace quando le cose restano sempre uguali a se stesse: cioè un writer che fa i graffiti mi annoia dopo un po’, come un giocatore di basket che gioca a basket. È un concetto un po’ difficile da spiegare forse e può suonare arrogante o stupido, ma quando iniziano a stare insieme delle cose che non dovrebbero esserlo, tutto diventa molto più interessante per me. Inoltre, in tanti fanno graffiti. Ma non c’è molta gente che riflette sul writing e questo per me è molto limitante per certi aspetti. Quando poi nel 2016 c’è stata la mostra 1984 Evoluzione e rigenerazione del writing, ma anche già nel 2013 con Grandi Opere di Lauda, ho concretamente visto che si poteva fare un ragionamento che non fosse “semplicemente” fare i graffiti, come succede quando diventa un automatismo. Queste cose mi hanno fatto vedere che graffiti poteva non significare semplicemente fare i graffiti, ma che poteva essere il punto di partenza anche per altre cose. Si può anche fare arte!.
Invece come writer a Bologna non mi sono subito ambientato. Inizialmente non mi sono molto trovato coi locals ma col tempo, dopo circa due anni, mi sono stabilizzato, ho trovato la compagnia; in particolare quando ha aperto il The Graffiti Bench. È stata una svolta per Bolo perché è diventato un luogo di aggregazione per i writer, dove la gente si beccava e quindi si disegnava un sacco, e anche per i turisti che passavano di li. Così, per raccontarne una, mi sono ritrovato in macchina con Skeme, Orus, Seyar, Mser, ma anche con Taps, Moses ed Edward Nightingale… comunque uscendo di casa, lasciando l’unica realtà che fino ad allora conoscevo, quella di Varese dove dipingono forse in 7, dove parli sempre delle stesse cose con le stesse persone, e arrivando in una città nuova con una storia enorme e diversa, ti scontri con dei punti di vista che sono completamente diversi dal tuo. Bologna mi ha un po’ fatto capire che il mondo non era solo quello che conoscevo. Poi da lì mi sono spostato allo IUAV di Venezia, poi sono stato in Erasmus alla scuola d’arte della Sorbona a Parigi, ed infine a Berlino lo scorso febbraio. Girare e conoscere è ciò che mi dà più voglia di fare, scontrarsi con realtà sempre diverse che ti costringono a mettere in dubbio le certezze.
Per quanto riguarda i graffiti a Venezia è stato ancora peggio di Bologna inizialmente; quando sono arrivato, di writer attivi sull’isola, su 55 mila abitanti compresi gli studenti, ce ne erano 3 e tutti della stessa crew, OG: Polve, che però ha smesso, Flame, che sta a Mestre, e Hood14. A Ottobre abbiamo fatto E.P.A.R. a Milano, una mostra di Spectrum in collaborazione con The North Face, documentata in foto da Toni Brugnoli e in video da Theodor Guelat.

E.P.A.R. a cura di Andrea Ceresa per Spectrum Store Milano; foto di Toni Brugnoli, artwork di Hood14
E.P.A.R. a cura di Andrea Ceresa per Spectrum Store Milano; foto di Toni Brugnoli, artwork di Hood14
E.P.A.R. a cura di Andrea Ceresa per Spectrum Store Milano; foto di Toni Brugnoli, artwork di Hood14
E.P.A.R. a cura di Andrea Ceresa per Spectrum Store Milano; foto di Toni Brugnoli, artwork di Hood14

A Venezia chiaramente tutto è diverso, sopratutto se hai un minimo di rispetto per il contesto: si possono fare tante tag a marker, poche tag a spray, i muri da fare sono pochi, a meno che tu non dipinga le serrande. In alternativa ci sono degli spot particolari, come uno specifico ponte di ferro della ferrovia in disuso oppure una casetta abbandonata costruita vicino al porto.… La cosa interessante è trovare degli spot “dipingibili” e visibili dai canali: come storicamente le facciate dei palazzi più prestigiosi erano decorate ed affacciavano sul Canal Grande, oggi i writer cercano di essere presenti sulle superfici che vedono le persone che si spostano coi vaporetti, gonfi di turisti.

Bombing a Venezia
Bombing a Venezia
Bombing a Venezia
Bombing a Venezia

Nel 2020 hai pubblicato Grafemi, un progetto dedicato interamente alle tag, e sei riuscito a farti supportare da Pigna, un marchio storico che produce i quaderni che intere generazioni di studenti hanno usato per le scuole dell’obbligo. Ancora, due mondi apparentemente molto distanti che si incontrano.

Grafemi ha rappresentato il mio primo progetto ufficiale. Avevo in mente di fare una fanzine di tag, da cultore dell’handstyle, dai tempi di O’clock prima e di Rizote, Horfee e Tomek e i Pal poi. insomma: Parigi. Soprattutto, diciamo dai tempi in cui Tumblr era il posto dove si seguivano le cose più fresche che venivano fatte in giro. Da lì mi sono sempre detto “vorrei fare una fanzine solo di tag perché non ce ne sono”. Poi arriva il 2020, primo semestre a IUAV finito, doveva iniziare il secondo che però è cominciato con mesi di ritardo ed eravamo tutti a casa a fare niente. Così, a una certa, penso sarebbe figo stampare su un foglio a righe, chissà cosa succede. Ovviamente non succede niente; cioè, ti stampa la foto sopra le righe. E ho stampato una foto di una BMW, una cosa un po’ zarra come piace a me, tipo una BMW in una galleria vista da dietro con l’alettone tutto ribassato… Allora mi sono detto “ma scusa, ma se io ci stampo una tag sulle linee dei quaderni di italiano, di quelli su cui si impara a scrivere sostanzialmente?”. Così è nata Grafemi. E la selezione internazionale definitiva è stata 2Luks di Parigi, Guano di Barcellona, Ifdef di Modena, Peach di Copenhagen e Zee di Firenze, ma che sta a Berlino. Ci ho messo tantissimo tempo perché voglia di fare le cose ne ho tanta, ma alla fine se non ho una scadenza non faccio niente. Quindi quando ho scoperto che c’era Unlock a Modena mi sono detto che era arrivato il momento di concretizzare. A quel punto ho pensato che, per rendere la cosa davvero unica, volevo che fosse stampata su un quaderno vero, una cosa iconica con la quale bene o male tutti potessero relazionarsi… e quindi ho chiamato Pigna. Il tipo mi fa “Ah, ma quindi te vuoi fare questa cosa perché Pigna darebbe un po’ di prestigio al tuo progetto? Mandami una mail!”. Gli mando la mail e così, nel giro di qualche settimana, mi ha fatto avere 120 quaderni. A quel punto stavo partendo per Parigi per andare in Erasmus, quindi è stato un lavoro di frettissima. Devo ringraziare mia mamma che ha fatto tanto (quasi tutto) lavoro insieme a me, e il vicino di casa che me li ha stampati! Abbiamo dovuto aprire tutti i punti, separare copertine e pagine, tra l’altro a pagine interne, pagine esterne, perché essendo già rifilati, cambiava tipo mezzo centimetro dalle pagine più interne a quelle più esterne, quindi nella stampa me le avrebbe sfalsate tutte. Quindi, ho separato i 10 fogli esterni e i 10 fogli interni, li ho stampati, li ho riassemblati, li ho abbinati alle copertine e poi li ho portati a far pinzare. E poi niente… dovevo tornare a Modena da Parigi a presentarli, ma quando sono andato a fare il tampone per il volo ho scoperto di avere il Covid senza sintomi. Quel weekend c’era anche lo shooting del libro di Massimo Pericolo, per il quale ho curato il progetto grafico insieme a Federico Bardelli, ma non son potuto tornare. Quindi ad Unlock l’hanno portato i miei amici 0331 e pure lo shooting lo hanno fatto altri amici. Ora sto per fare uscire l’edizione speciale che spero di presentare ad Amburgo, insieme al numero due: 5 copie di Grafemi che hanno girato per l’Europa, prima a Firenze, poi a Modena, poi a Parigi, poi a Barcellona, sui quali i writer coinvolti hanno disegnato a mano su ogni copia, proprio perché sono dei veri quaderni!

Grafemi – Monocromo Pigna
Grafemi – Guano
Grafemi – Zee

Nel 2021 hai curato 6 pittori, una mostra a mio parere molto interessante sotto tutti i punti di vista. Ce ne puoi parlare?

Partiamo dal titolo: 6 pittori, e non 6 writer. E infatti tra quei 6 ci sono Angelo Licciardello, che non c’entra assolutamente niente coi graffiti, e pure Aloha, che avrà ha fatto giusto qualcosa quando eravamo ragazzini; la questione per me era intercettare una sensibilità pittorica e tecnica assolutamente evidente e che conosco molto bene, perché la maggior parte di quelli che le possiedono, le hanno acquisite grazie al writing.

Locandina della mostra 6 pittori realizzata da Federico Paviani e Andrea Ceresa
Locandina della mostra 6 pittori realizzata da Federico Paviani e Andrea Ceresa

Aprire l’astuccio e usare i pennarelli, o qualsiasi cosa che ti capiti in mano senza fare troppe distinzioni tipo il dover usare per forza l’olio sulla tela per fare un’opera, è un approccio che è super graffiti e che, però, non finisce lì. È un approccio che hanno anche altri, perché viviamo in una epoca in cui alle elementari, o forse anche già all’asilo, ti spingono a disegnare con dei pennarelli sulle risme di fogli della stampante.
Poi quell’esperienza a un certo punto sparisce; ma non per tutti. Quando a 12, 13 o 14 anni qualcuno inizia a fare le bozze affascinato dai graffiti, quelli sono i materiali a cui ritorni istintivamente e coi quali magari affini la tecnica. Sono materiali che, seppure umilissimi, permettono risultati incredibili come nei disegni di Sonik e Julien, ad esempio. Quell’approccio che viene dalla formazione autodidatta dei writer secondo me traspare sempre, anche nelle tele 2 x 1 m di Hood14 e con le quali è però capace di esprimere la stessa istintività, oltre che quell’estetica. Ovviamente, non è solo lo strumento che fa l’opera, c’è anche la scelta dei soggetti.

Questo era un po’ il gioco e credo sia uscita una mostra molto potente, di cui sono veramente fiero e che oggi mi piacerebbe portare a Berlino e a Milano, magari ampliando la linea up.
Per quanto riguarda la scelta degli artisti: Aloha è di Varese; Angelo, era in corso con me allo IUAV; Hood era il mio compagno di avventure di Venezia; Luca è l’unico che non avevo mai incontrato. È argentino di origini italiane e in quel momento viveva a Copenhagen; gli ho scritto su Instagram e non essendo mai stato in Italia è stato veramente molto contento di venire. Una persona davvero generosa e genuina, spontanea. C’erano poi Julien Marmar e Sonic che invece avevo conosciuto in Erasmus e che sono venuti da Parigi col furgone. Alla fine la selezione ha rappresentato, al netto del talento degli artisti, un distillato di tutti i miei giri, anche se di Bologna a pensarci non c’è nessuno. Mi piace mettere insieme le cose così.

Da un paio di anni stai collaborando con il progetto “La Cattedrale” di Somma Lombardo, uno spazio dedicato all’arte contemporanea ricavato da una fabbrica abbandonata.

La Cattedrale l’ho vista da ben prima che aprisse: ci sono stato quando c’era solo uno dei due muri di Ravo, quando non c’erano le vetrate, quando non c’era niente. Andavo lì perché Ravo è un amico da ormai almeno 10 anni. Quando i miei amici intraprendenti, focalizzati sul futuro, verso la fine delle superiori scrivevano alla gente per fare i grafici, ai fotografi per incontrarli, fare stage o collaborazioni, io non sapevo a chi scrivere. A me piacevano i graffiti, quindi? Dove guardi? Guardi le generazioni prima di te. E Ravo faceva le robe pazzesche; è un disegnatore straordinario e mi ricordo che aveva fatto, non so se La dama con l’ermellino a matita o cosa, e io impazzivo, era una roba incredibile, un tratto freschissimo. Dunque gli ho chiesto di incontrarci e lui come sempre è stato super disponibile, come continua a fare anche oggi. Da quel punto di vista siamo molto simili, tendiamo a voler fare gruppo, a beccare la gente e a far cose. E quindi sono andato a casa sua. C’era anche Sea Creative, che conoscevo già un po’ di più, e abbiamo passato un pomeriggio a chiacchierare e da lì abbiamo iniziato a vederci regolarmente, compreso quando ha fatto il primo muro di Caravaggio nel 2016. Credo che abbia usato una foto nella quale “posavo” come riferimento per le dimensioni: ha fatto la foto al muro bianco con me davanti per prendere le misure. Andavo in cattedrale a beccarlo quando dipingeva così, quando è giunto il momento di far le vetrate, non sapevano precisamente come fare lo schema e gli ho detto “ci penso io”. Fortunatamente si son fidati. Con i colori che avevo a disposizione ho cercato di creare una sfumatura che ti accompagni da un dipinto all’altro: dal Taraval, una nascita di Venere barocca, molto chiaro, al Davide che contro Golia di Guido Reni, molto scuro, cupo. Ma non volevo che fosse solo questo, sarebbe stato un po’ troppo celebrativo del luogo, troppo silenzioso per i miei gusti. Allora ho fatto un intervento chiamato Finestrini dipingendo a spray i vetri dall’esterno per riprodurre la situazione del pendolare che prendere il treno e si trova il finestrino tutto colorato a causa dei graffiti.

Finestrini di Andrea Ceresa presso la Cattedrale di Somma Lombardo
Finestrini di Andrea Ceresa presso la Cattedrale di Somma Lombardo
Finestrini di Andrea Ceresa presso la Cattedrale di Somma Lombardo
Finestrini di Andrea Ceresa presso la Cattedrale di Somma Lombardo
Finestrini di Andrea Ceresa e Davide uccide Golia di Andrea Ravo Mattoni presso la Cattedrale di Somma Lombardo
Finestrini di Andrea Ceresa e Davide contro Golia di Andrea Ravo Mattoni presso la Cattedrale di Somma Lombardo

Quei piccoli interventi che per certi aspetti stonano lì dentro: non è molto chiaro cosa siano, sparsi qua e là. Per me, però, servono a ricordare che senza i finestrini dipinti (che a quanto pare sono il male per i passeggeri dei treni) non ci sarebbe stata tutta quella bellezza nella Cattedrale; servono a ricordare che se Ravo non avesse fatto nel ’94 i graffiti sui treni, nel 2016 non avrebbe dipinto il Caravaggio e tutti i decantati muri del progetto di recupero del classicismo nel contemporaneo. È molto difficile maneggiare lo spray, e di norma nessuno lo fa se non ha fatto i graffiti. Poi, dopo aver visto 6 pittori a Venezia, lui e Paolo Rovelli, l’altro fondatore della Cattedrale, mi hanno affidato la curatela delle mostre trimestrali che vengono allestite nella sala delle esposizioni, che non è quella delle vetrate ma è adiacente. Abbiamo iniziato a Novembre con la personale di Aloha Project e ora fino a fine maggio c’è la mostra TESSERAE di Iconosaik.

Aloha Project presso La Cattedrale di Somma Lombardo
Aloha Project presso La Cattedrale di Somma Lombardo
Aloha Project presso La Cattedrale di Somma Lombardo
Aloha Project presso La Cattedrale di Somma Lombardo, 2023
Aloha Project presso La Cattedrale di Somma Lombardo
Aloha Project presso La Cattedrale di Somma Lombardo, 2023

Con Ravo al momento il rapporto è più forte che mai perché dopo aver spinto per anni sul progetto di recupero del classicismo nel contemporaneo, col quale ha girato Spagna, Francia, Brasile, Londra e tutta Italia, con l’idea di “portare in strada” le opere dei musei in modo che siano fruibili a tutti senza essere costretti a situazioni sacrali cui l’esperienza degli originali nelle loro sedi istituzionali costringe, quando ha scoperto l’intelligenza artificiale generativa di immagini è impazzito. Mi faceva vedere queste cose generate dalle macchine. Quando ha scoperto che la mia tesi di magistrale si intitola Intelligenza Artificiale e Stupidità Umana e tratta proprio di quei temi, è stato molto naturale collaborare su questo suo nuovo progetto. Siamo stati alla Colab gallery il 26 di novembre per la mostra collettiva Welcome back. Lì abbiamo portato una piccola personale che ha funzionato da teaser e rappresentava una battaglia metaforica tra i creatori di immagini: gli esseri umani da una parte e questo nuovo strumento potentissimo, talentuosissimo, rapidissimo, di creazione di immagini che è l’intelligenza artificiale dall’altra. Il progetto è stato poi sviluppato pienamente per la mostra in Svizzera, a Melano, presso Artrust: RenA.I.ssance, Painting and Artificial Intelligence.

L’ abbiamo chiamato Manifesto del Rinascimento artificiale perché è una presa di posizione nei confronti di queste tecnologie che possono entusiasmare, ma possono anche fare molta paura a tutti i creativi d’immagini o di testi, in qualsiasi campo.

RenA.I.ssance di Andrea Ravo Mattoni c/o Artrust
Andrea Ravo Mattoni per Welcome Back c/o Colab Gallery, Weil am Rhein, 2022
RenA.I.ssance di Andrea Ravo Mattoni c/o Artrust
RenA.I.ssance di Andrea Ravo Mattoni c/o Artrust

Tornando alla realtà del nostro territorio, hai scritto il testo critico della mostra Peso Reale, Peso Frenato di Angelo464 per Spazio Hobo di Modena. Raccontaci qualcosa…

Ho incontrato Angelo alla mostra di Hood14 che ho curato per Spectrum e chiacchierando è venuto fuori che gli piaceva il mio approccio, così come gli artisti che seleziono per i miei progetti. Da parte mia, il suo percorso sulle livree mi è sempre piaciuto: un lavoro concettuale, semplice e ben fatto. Anche il fatto di abbinarlo alle foto lo trovo davvero interessante. Inoltre mi pare un lavoro davvero sincero, non è il writer che deve fare l’arte in galleria per tentare di fare 4 soldi; ma è un tipo che lo fa perché si è stufato di fare quello che fa e che ha fatto per vent’anni. E, fortunatamente, ha ritrovato la spinta in questa nuova direzione, e lo fa con la stessa ossessione con la quale ha fatto i graffiti, attitudine che apprezzo molto. Quando mi è stato chiesto di scrivere il testo l’ho fatto assolutamente volentieri. Il procedimento è stato quello che faccio sempre: chiamare e chiedere “oh, ma allora, spiegami sta roba”. Ci siamo fatti una bella chiamata di un’ora e poi a Berlino ho messo in fila le cose. Se conosci quello che fa sui treni, specialmente negli ultimi 5 anni, ti chiedi come sia possibile che sia passato a fare questo tipo di opere minimali, concettuali e grafiche. Questo perché sono proprio due percorsi totalmente opposti. Concepire una serie ispirata all’identità ferroviaria aziendale, impone di abbandonare tutta una serie di crismi e stilemi propri del writing, che sono anche quelli più fighi e forse più stimolanti, che dopo vent’anni e passa capisco possano perdere la capacità di ispirare.
Per questo è ancora più interessante!

Angelo464 Peso Reale Peso Frenato Hobo spazio urbano urbaner davide sabattini andrea ceresa
Alcune delle opere esposte in occasione di Peso Reale, Peso Frenato, mostra personale di Angelo464 presso Hobo Spazio Urbano, Modena 2023. Foto di Davide Sabattini
Angelo464 Peso Reale Peso Frenato Hobo spazio urbano urbaner davide sabattini andrea ceresa
Alcune delle opere esposte in occasione di Peso Reale, Peso Frenato, mostra personale di Angelo464 presso Hobo Spazio Urbano, Modena 2023. Foto di Davide Sabattini
Angelo464 Peso Reale Peso Frenato Hobo spazio urbano urbaner davide sabattini andrea ceresa
Alcune delle opere esposte in occasione di Peso Reale, Peso Frenato, mostra personale di Angelo464 presso Hobo Spazio Urbano, Modena 2023. Foto di Davide Sabattini