Pietro Rivasi, il writing, Modena.
di Pietro Rivasi

Ho iniziato ad interessarmi al writing grazie allo skate. Era la fine degli anni ’80 e, mi accorgo oggi, cercavo con costanza una controcultura nella quale riconoscermi, che mi desse una idea di libertà che in famiglia sentivo mancare… e proprio in quel momento di bisogno, in tv hanno trasmesso Trashin’ – Corsa al massacro. Il film non penso neppure di averlo visto, mi bastò la pubblicità.
Da quel momento in poi ho cercato di avere uno skate e di recuperare informazioni, dato che intorno a me non vedevo nessuno girare: così ho scoperto in edicola Skate, XXX Skateboarding, Skate e Snow Board – che pubblicavano anche cose di writing che mi hanno colpito profondamente – ed il negozio On the beach in via Mascherella, che ha fatto si che mi ponessi qualche domanda tipo “se c’è un negozio, ci saranno pure gli skater”.
Li troverò più avanti nello skatepark autocostruito ed autogestito al Pala, che non ho praticamente mai frequentato, ma che ha una storia davvero importante ed interessante.

Ad ogni modo, a causa di questa ricerca di indipendenza, almeno psicologica, scoprivo tutti i sottogeneri musicali più estremi grazie alla radio sempre accesa in casa (ricordo le trasmissioni di Rai Radio 2 con Mixo che passava i pezzi dei Metallica, poco prima del Monster of Rock dell’estate del 1991 all’arena Festa de L’Unità di Modena) ma soprattutto alle copertine dei dischi che da appassionato di fumetti ho sempre apprezzato e che come nient’altro mi hanno avvicinato ai vari generi. Disegni in qualche modo simili a quelli che avrei poi ritrovato sulle tavole da skate.
Ho così iniziato a comprare dischi al Marrakech (la mamma del gestore aveva una bancarella in piazza XX Settembre e li, sempre per via delle grafiche, ho iniziato a comprare le toppe per il giubbotto prima ancora dei dischi cui facevano riferimento) e all’Aaargh (dove era presente un pezzo all’epoca per me fantascientifico di Shan R, di cui riuscii a decifrare la firma solo dopo anni, e che scoprii, ancora secoli dopo, essere Deda), a tentare di girare in skate con persone appena più grandi ma molto più libere dalle quali ho assorbito tutto quello che potevo.
Quindi credo che alla base di tutto, ci sia stata fondamentalmente la ricerca di identità e di un gruppo col quale condividerla.
Lo skate, i fumetti da Iori Daniele in corso Adriano, la musica.
Lo skate poi è una passione costosa ed è stato presto evidente che non ero neppure portato, così come per suonare la chitarra (per quanto, la sala prove e i concerti in giro con gli amici siano state esperienze molto belle, soprattutto suonare alla Scintilla, all’Isola Verde dentro la conchiglia o riempire fino a farlo esplodere il Mac2).

Anche a disegnare non sono mai stato particolarmente dotato. Il cerchio delle cose che mi interessavano e nelle quali tuffarmi in cerca di soddisfazioni si stringeva dunque.
In mezzo a questo calderone adolescenziale, soffocato da un liceo scientifico vecchio stile (non certo l’artistico che avrei desiderato fare) che non mi dava gli stimoli che tanto cercavo, ho scoperto il writing: prima nelle riviste di skate, poi sui muri e sui treni, grazie ai quali la forza di quel linguaggio ha scavato a fondo nel mio immaginario.
Ad un certo punto ho addirittura avuto un diario, che forse ho ancora da qualche parte, che anni dopo ho scoperto riprodurre pezzi presi nientemeno che da Subway Art: non c’era che da provare e vedere come andava.
A Modena non c’era praticamente nulla: pochissimi i pezzi che ero riuscito ad individuare in città – che poco comunque avevano a che fare con quelli pubblicati dalle riviste: mai visti fino al 2000 – quando DeFuMo li fece sparire – quelli al More, né il famoso pezzo di Deemo e Zero T per il celeberrimo catalogo WP.
A parte le scritte delle Brigate Gialloblù (tipo Grazie a dio non sono bolognese e l’onnipresente BG che impiegai anni ad interpretare), la frase, immagino fascista, che non capivo, “Leggi linea ⌖”, qualche omino simile al logo dei DRI con scritto “Pilori Temple” ed un misterioso pezzo “Peeker” (l’idea è che fosse riferito allo storico negozio di dischi Peeker sound, ma chi lo sa), davvero non ho ricordi. E dire che era il periodo in cui ancora c’erano i cartelloni dei cinema porno, dunque ci si guardava sempre intorno (i cellulari poi non esistevano e dunque non si camminava con la faccia sempre sullo schermo): non c’era davvero nulla.
A questo proposito, ricordo con gratitudine quando nella laterale di via Emilia che ospita la Galleria Mazzoli, comparvero delle tag bordeaux di CK8 che mi colpirono non tanto per quello che c’era scritto, ma per il tratto pulitissimo, molto diverso dalle altre scritte in città.
Io mi muovevo poco a causa dell’età, limiti imposti dalla famiglia e scarsità di mezzi, dunque prima iniziare a scoprire Bologna, il Disco D’oro (è il periodo di Souls Of Mischief – 93 till infinity ed altri lavori epocali come 6 feet deep dei Grave Diggaz per nominarne due a caso), il Footlocker dove vendevano AL Magazine ed i vari squat, passerà un po’ di tempo: ricordo ancora oggi quando per i concerti di Snapcase e Unbroken ebbi la fortuna di andare al Bestial Market dove c’erano tag di nomi a me sconosciuti, fatte in argento ed un fat così enorme da sembrare avessero usato una bomboletta esplosa per scrivere.
Credo sia molto importante sottolineare questa correlazione tra la mia ricerca spasmodica di input relativi al writing e musica, in particolare hardcore che era quella che seguivo maggiormente (spesso colonna sonora dei video di skate) e mi ha portato in luoghi dove, grazie al passaggio dei writer, vedevo tag e pezzi.

Questo rappresentano per me gli ambienti controculturali, una infinita miniera di stimoli lontani da ciò che la società definisce come normale, un filtro attraverso il quale guardare il mondo, che si crea attraverso la rete di amicizie quando si è adolescenti: da una parte più vulnerabili, dall’altra più ricettivi e pieni di energie, indispensabili per tuffarsi a capofitto nella propria vita.
Vengo anche in contatto con il mondo dell’autogestione, pur come semplice fruitore, così come con quello dell’attivismo animalista. Il mio esplicito impegno tarderà a manifestarsi, ma i semi vengono piantati grazie ai testi delle canzoni ed alla necessità di appartenere ad un mondo nel quale riconoscermi: per questo ad esempio, ho smesso di mangiare carne ormai più di 20 anni fa.
Nel frattempo prendo coscienza dell’esistenza di altri pezzi andando al mare, dove nonostante la piccola città che frequentavo, c’erano comunque più cose che da noi; addirittura scopro la famosa colonia abbandonata con i pezzi di Sid, Panda, Hekto e Tomak, pubblicati su un qualche numero di Aelle, o la murata della famosa Jam di Follonica del ’93.


Fondamentale poi è un altro momento della mia adolescenza: sempre a causa della rigida educazione, per molti anni frequento la parrocchia di San Francesco, in pieno centro storico.
All’epoca il parroco di riferimento è Don Ermanno Pollastri, una persona che, nonostante la mia insofferenza per l’ambiente, riconosco essere l’incarnazione del “buon cristiano” di cui ci sarebbe così bisogno in quei contesti: aperto, disponibile, comprensivo.
Dunque Don Ermanno concedeva ai giovani della parrocchia degli spazi in canonica che di fatto diventano una specie di centro sociale. Io sono tra i più piccoli, spesso un po’ esclusi, ma col tempo mi conquisto la possibilità di fare dei graffiti sulla lunga parete di un cortile semi abbandonato nascosto alla strada, dietro la canonica, che rappresenterà il primo hall of fame della città.

Pomeriggio all’Ipercoop ad acquistare – non sono mai stato in grado di rubare per carattere – le Gioca colora lavora, spray abbastanza pessimi, e poi appena possibile in quel cortile ad allenarmi a scrivere.
Ho abbastanza confusione rispetto agli anni: certamente i primissimi tentativi sono stati nel 1993 dopo l’uscita di Sfida il buio, disco recuperato all’Aaargh e conosciuto grazie alle trasmissioni di Monney, Soneek MX e Fox su Antenna 1 Rock Station di Fiorano modenese.
Conservo ancora diverse cassette sulle quali registravo le trasmissioni per riascoltarle all’infinito.
Tra queste, una ospitata di Deemo e Gopher D con un freestyle che mi ha segnato per sempre, non tanto per qualità o contenuti, ma per il suo semplice essere quello: un freestyle!

Non c’era internet quindi ogni nuova informazione relativa alle proprie passioni, che potevano essere i manga o un sottogenere musicale, veniva masticata e digerita per settimane, potevano passare secoli prima di essere colpiti da un altro stimolo altrettanto forte.
Dunque in quelle cassette si imprimeva tutto quello che difficilmente si sarebbe riascoltato senza un google o youtube a venire in aiuto: i primi Elio e le storie tese su Radio Deejay così come i Kina e la Banda bassotti su Antenna 1, o, appunto, gli Isola Posse dei quali poi cerco ogni cosa possibile (registrai pure su VHS la loro comparsata a cantare Passaparola ad Avanzi su Rai3).
Intorno al ’94 le cose in Italia decollano anche per chi non vive nei grandi epicentri dell’hip hop, e grazie ad AL Magazine riesco ad essere relativamente informato: dopo l’uscita de La Rapadopa, disco amatissimo ma troppo avanti per me all’epoca, sarà già tempo di Sangue Misto SXM. Non sono mai stato un bboy ma, sempre per il discorso della ricerca di stimoli, ho consumato i dischi rap italiani che uscivano, erano qualcosa che permetteva di ricostruire una geografia per me lontana e incredibilmente affascinante, una galassia di nomi e segni tra i quali cercavo le correlazioni guardando le immagini e leggendo i testi migliaia di volte.
Il foglio interno di Sfida il buio è un esempio: la frase sui testi dell’hardcore torinese, ancora mi si presenta davanti agli occhi, e forse senza quello, non avrei mai prestato tutto quell’interesse ai Nerorgasmo o i Negazione.
La mia fame di informazioni mi rende molto riflessivo, non capendo che le situazioni di cui leggevo riferite magari alla Svezia, non erano certo quelle della mia città. Questa cosa, insieme al mio carattere di per se abbastanza ansioso ed inadatto a questo tipo di “sport”, mi segnerà per sempre. Anche per questo ho cambiato diversi nomi, sopratutto nei primi anni: da One – preso non dalla tradizione newyorkese di mettere “one” dopo il nome, ma dalla canzone tristissima dei Metallica – passando per Uno, Won e Omega; e per lo stesso motivo, la mia attività di bomber è durata davvero lo spazio di un paio di multe e pochi anni.
Intanto incredibilmente avvengono altre cose: nel ’94 e ’96 due ragazze che non ricordo assolutamente come ho conosciuto – forse tramite Tower, writer modenese anche lui incontrato non ricordo esattamente quando e dove, organizzano l’Happening dei giovani presso la Carovana: nuovamente siamo in un contesto parrocchiale: vengono invitati diversi writer anche da Bologna e Milano, tra cui nientemeno che KayOne, caro amico di Tower. Io sono un toy pazzesco quindi praticamente non provo neanche ad avvicinarmi: forse a qualcuno chiesi “come si fa a far un tratto sottile”, ricevendo giustamente una risposta non molto garbata.

Nel ’94 partecipiamo io ed un compagno di liceo, Niko: ci alleniamo dipingendo 2 o 3 garage di parenti le cose che avremmo poi voluto fare… compresa una immancabile pergamena; nel ’96 passati quasi 3 anni il livello è già un po’ diverso e partecipo con Dozec, altro amico della “cumpa”, del gruppo di amici che si trovava in piazza grande verso le 18, finiti i compiti e le altre incombenze. Oggi si chiamerebbe ora dell’aperitivo
Sempre in quegli anni, grazie a Christian Cornia, un ragazzo di Savignano sul Panaro che frequentavamo sporadicamente a scuola, riusciamo a recuperare 3 skinny banana grigi e forse uno o due fat arancioni (scoprimmo così che li distribuiva nientemeno che Mambo), di cui non si capiva ancora bene la funzione in quel periodo in cui c’era solo il mito del tratto sottile, vai a capire perché.
Aggeggi oltretutto quasi inutilizzabili sugli spray da ferramenta – gli unici che riuscivamo a trovare – a meno di non customizzarli con un coltellino e che si intasavano irrimediabilmente dopo il primo utilizzo. Mi sembrava però di essere già immerso in questa nuova cultura grazie a questi rarissimi oggetti.
Tra il 1994 ed il 1996, succedono ancora cose: il liceo affronta un paio di interessanti, ai fini di ampliare il network di amicizie, autogestioni e con un paio di compagni di classe finiamo a dipingere in pieno giorno e con grande ingenuità il muro esterno della scuola stessa, che essendo già pieno di scritte ci diciamo, sicuramente non interessa a nessuno. Nessuno chiama la polizia, in effetti.

Scoprirò lo stesso anno però che fu solo fortuna, prendendo la prima multa in un sottopasso dimenticato da dio e dagli uomini – un sabato pomeriggio – e rischiandone un’altra in un sottopassaggio all’epoca in piena campagna. Esperienze fondamentali che mi fecero capire che buonsenso ed applicazione delle legge non vanno d’accordo.

1994 è per me anche l’anno di Tinte forti a Bologna dove vedo dal vivo ed in azione alcuni dei miei idoli visti su AL Magazine e ho l’occasione di sentire Taverna ottavo colle (nei quali oltre a Danno e Beffa militava Piotta) e Sangue misto (e per la prima volta in vita mia ho visto persone pogare e fare stage diving ad un concerto rap, cosa che mi gasò enormemente perché erano codici coi quali ero già in confidenza), nel luogo che imparerò a conoscere meglio una volta incontrati Grom e Repo: il Cavallazzi.


Il 1995 e 1996 sono gli anni invece di Indelebile a Rimini, dei concerti hip hop al Mondrian (successivamente Maffia) di Reggio Emilia e di Zona Dopa al Livello 57. È il periodo d’oro del rap italiano e suonano Kaos, Sangue misto, Colle der fomento, esce la compilation Zero Stress. Tutte serate passate con un paio di compagni di scuola appassionati di quella musica quanto me al writing.
Intorno al ’96 scoprii grazie ad un amico un negozio di skate e snowboard a Correggio, Janko’s Store, di fronte al quale c’era una ferramenta che vendeva le Talken, pubblicizzate su AL, a tipo 10.000 lire. Una follia che molto saltuariamente mi concedevo nella speranza, vana, fossero spray miracolosi.
L’estate del ’97 sancisce per me la fine delle scuole superiori e l’inizio di un’epoca nuova, con maggiore libertà ed input.
Quell’anno ad esempio, con la telecamera super 8 acquistata con gli inaspettati proventi di un concerto, filmo il viaggio verso Grosseto e Roma, catturando l’energia del lungolinea di Bologna, dei pannelli degli RB, delle metro B distrutte da Pane, Jon, Stand, Honet, Hekto e tutti gli altri che avevo visto su XG o 14k, rivista che per motivi inspiegabili veniva venduta in un fantastico negozio/edicola in piazza Mazzini. Mi pare si chiamasse Marc’o, o qualcosa di simile, ed aveva tante pubblicazioni straniere e particolari.
L’influenza che Roma ha avuto su di me meriterebbe un capitolo a sé: nelle poche ma intense giornate passate nella capitale al seguito di mio papà, capisco la funzione di firme leggibili come quelle di Hekto, sento la attitudine dei romani passeggiando per la San Lorenzo colonizzata dai KIDZ. In qualche modo trovo la ferramenta che vende la straordinaria Hateful magazine e costosissime bombole americane, le Krylon.
A Modena sono invece gli anni delle occupazioni “in serie” del collettivo XXII Aprile: la mia città purtroppo a differenza di Bologna non aveva una forte rete “antagonista” – o almeno, quella era la mia percezione – e la Scintilla non aveva molto spazio per dipingere: nessun hall of fame.
Dunque quando tramite amici più coinvolti politicamente scopro le occupazioni del XXII Aprile mi rendo subito disponibile a dipingerne le pareti: la scuola in via Trento Trieste, l’ex fabbrica di non so cosa dove poi sorgerà la Maserati ed infine le tribune del parco Novi Sad.

Ricordo, ma non ho foto, il monumentale “contro la mafia dei partiti, centri sociali autogestiti” che con Dozec dovemmo dipingere in un capannone prima del concerto dei 99 posse, o il “no eroina” in italiano e arabo al parco Novi Sad, per guadagnarci la possibilità di fare i nostri pezzi. Anche queste, esperienze molto formative.
Devo anche ricordare l’importanza in quegli anni di Kyce e Rom KPC/PB/IK, uno dei quali viveva qui mentre l’altro passava spesso a trovarlo, bboy a tutti gli effetti e decisamente più avanti di me nonostante coetanei. Ci si frequentava ogni tanto per reciproci inviti alle piccole manifestazioni che organizzavamo o nei rispettivi hall of fame e per scambi di foto.

Il 1997 oltre ad essere l’anno della fine delle superiori e dell’inizio dell’università, è l’anno nel quale il mio approccio cambia ulteriormente ed inizia la deriva che mi porterà fino ad Urbaner: uno degli amici skater attraverso i quali ho scoperto Bologna, l’hardcore SXE, il vegetarianesimo, etc, divenuto appassionatissimo di cinema, mi parla di Stradanove, un portale web dell’Emilia Romagna da poco avviato. È una cosa abbastanza all’avanguardia per l’epoca: c’è un piccolo ufficio alcuni computer, rete internet (non il 56k dial-up che avevo a casa!) e scanner. L’anno successivo, arriverà anche una macchina fotografica digitale – che porterò in interail – e, cosa ancora più incredibile, hanno già avviato una rubrica sul writing.


Insomma, entrambi iniziamo a collaborare. Da quel giorno le foto che già da tempo scattavo in giro per crearmi un archivio sul quale studiare, diventano anche materiale per nutrire il sito e la pagina diventa forse la prima web-zine in Italia, una delle prime al mondo dopo ArtCrimes.
Avrò modo di fare molta autocritica successivamente rispetto al ruolo di internet rispetto al writing, ma all’epoca avevo soltanto l’entusiasmo di rendere più accessibile un mondo che io stavo facendo così tanta fatica a capire e conoscere.
È poi lo stesso anno nel quale con altri amici otteniamo i permessi da parte del comune, per dipingere la prima hall of fame pubblica di Modena, Ponte Alto: un sotto passo piuttosto defilato per 11 mesi l’anno ma che nel periodo del festival de l’Unità, diventava una vetrina clamorosa, essendone una delle principali vie d’accesso.

Così tra richieste di muri per dipingere e Stradanove, inizio a capire come funzionano i rapporti con le istituzioni e per la festa di Stradanove del 2000 ottengo di dipingere il cavalcavia proprio sotto alle finestre degli uffici comunali.

A pochi metri da li, e quello fu uno dei motivi per cui era interessante quella parete, c’era, e c’è ancora, un importante club, il Vibra, ospitato negli spazi di un ex macello che per un periodo ospitò l’X e nato dalle ceneri del mitico Left dove si andava vedere suonare i gruppi punk rock (Good Riddance, High Standard, Strung out) che non passavano dalla Scintilla o a sentire l’elettronica nel periodo di massimo splendore di Fat Boy Slim. Col Vibra collaborerò diverse volte: nel 2001 organizzammo ad esempio la “prima italiana” di Warriors, video prodotto dagli stessi autori di Garage Magazine, coi quali da allora sono restato in contatto per diversi progetti.



Questo approccio sarà quello che poi porterà all’organizzazione della prima edizione di Icone nel 2002.
Abbandonata temporaneamente l’università per dedicarmi a studiare il web design al quale un po’ mi ero appassionato proprio grazie a Stradanove, ho passato un periodo lavorando per un piccolo ma vivace studio, il Labo 27 (oggi confluito in Bunker) di Frederic Argazzi, che ha individuato nell’organizzazione di un evento di writing di “nuova generazione” una occasione di lavorare a qualcosa di sperimentale e diverso dalle commissioni commerciali più comuni.
L’idea era quella di esporre cose che ci piacevano e far dipingere dei muri ad amici e writer vari che stimavo.




È stato così che insieme al gruppo di amici che organizzerà poi tutte le edizioni a seguire formato da me, Gianmario Sannicola e Francesco Bevini, invitiamo a Modena Honet e Stak; in occasione di quella prima edizione ho conosciuto anche 108, venuto appositamente da Alessandria. Con lui e gli altri OK si instaurerà un rapporto piuttosto duraturo visto che hanno partecipato credo a tutte le edizioni (in particolare quella del 2007 alla stazione delle corriere di Carpi) e che in diverse occasioni li ho coinvolti in altre iniziative, data la stima che ho per il loro percorso: 108 ad esempio, così come Aris, esporrà ad Avia Pervia e tornerà nel 2016 con il progetto Larva 108 per sonorizzare la performance di Abraxas durante la chiusura di 1984.


Icone dunque nasce per pura passione in un momento storico molto particolare, quello dell’arrivo dell’onda europea della cosiddetta street art, dei “loghi al posto del nome” che i writer iniziano in massa a fare, e quant’altro; è il periodo in cui diventano popolari Invader e Andre, in cui escono i primi libretti di Banksy: Existencilism e Bang your head against a brick wall per capirci; è il periodo in cui Blu inizia a farsi notare per le strade di Bologna.

Io seguo da sempre le avventure straordinarie di Honet ed anche la sua incarnazione più arty mi pareva intuitivamente convincente e interessante, dunque contattiamo lui e Stak e con nostra sorpresa si dicono disponibili a venire a Modena per una mostra. Ci troviamo ad avere a che fare con dei writer con già una forte consapevolezza artistica al di fuori delle sperimentazioni di strada, in particolare Stak. Questo fa si che la mostra, che sempre in una ottica di networking organizziamo tramite conoscenze nell’appena aperto e prestigiosissimo Caffè Concerto di Piazza Grande, risulti abbastanza lontana dalle nostre aspettative.


È quasi superfluo dire che a parte 108, qualche amico lombardo particolarmente interessato ai nomi esposti e vicino al nostro giro di amicizie e Fausto Ferri, nessuno si interessò alla cosa. Altra nota dolente: nessuno di noi organizzatori, pensò di documentare decorosamente né la mostra (di cui ci sono pochissime foto, quasi tutte recuperate per caso anni dopo) né le murate.
Icone si distingue per l’approccio di rifiuto cosciente dei clichè hip hop legati al writing, tanto nell’estetica quanto per i contributi musicali, più volte affidati ad amici che lavoravano nell’ambiente dell’elettronica, anche estrema come Armageddon Project e Life runs red, ospiti scelti tra le cerchie degli amici coi quali ci trovavamo bene e condividevamo l’interesse per il writing più aggressivo quanto per le nuove forme che si stavano affacciando al panorama.
In questo contesto, una delle svolte più importanti è stata sicuramente l’aver coinvolto nel gruppo organizzativo Luca Lattuga di Vignola che, studente dell’accademia di Bologna, ha aiutato in modo determinante a dare alla manifestazione un carattere definito, tanto con le sue grafiche quanto invitando amici di corso, organizzando sempre le pareti coordinate ed infine, iniziando ad organizzare lo “spin off estivo” alle piscine di Vignola, teatro di feste e concerti memorabili.
Negli anni il desiderio di organizzare cose che ci interessavano ha abbondantemente superato buonsenso e sopratutto disponibilità economica, per cui sicuramente professionalità e compensi non erano di casa.
Altra conseguenza non marginale di tutto questo, è che la documentazione è stata molto spesso più che trascurata e in diversi casi, non fosse stato per la passione di Dante Cavicchioli, di molti pezzi e momenti non avremmo testimonianza.

Per avere una idea della situazione, ricordo che per cercare di finanziare Icone 2004 (per la quale prevedevamo una serie di iniziative che collegassero writing, fotografia – organizzammo 2 mostre con Fakso, Andrea Boscardin, Luca Lattuga e Roberto Repo Malpensa, calligrafia occidentale, calligrafia giapponese e tipografia) mi sono pure accollato di organizzare la prima edizione del Write 4 Gold, iniziativa-marketta per un brand tedesco che ha poi biecamente corrisposto la metà del compenso pattuito. La manifestazione è stata comunque molto divertente, seppure decisamente ambigua dal punto di vista culturale.


Per quanto riguarda Icone di quell’anno invece, a parte la tipografia e svariati alti e bassi con gli ospiti spazientiti dalla nostra scarsa professionalità, tutto è andato in porto. Negli anni successivi l’approccio bulimico non è cambiato: tanti muri dipinti, a Modena ed in provincia, mostre, presentazioni di libri… tutto quello che poteva essere di nicchia estrema lo facevamo, cercando di coinvolgere e collaborare con quante più realtà possibili: D406, Caffè Concerto, Qasi, Buscapè, Carhartt Store, Juta Cafè, La Tenda, Biblioteca Poletti…
E a proposito della meravigliosa Biblioteca d’arte ed architettura Poletti, la mia collaborazione risale al 2005, quando Carla Barbieri mi coinvolse nella commemorazione dell’eccidio delle Fonderie del 9 Gennaio 1950. Quell’anno Icone si svolse quindi il 9 gennaio, con un freddo tremendo, sotto al cavalcavia oggi “della Maserati” e Oex/Reqvia, Grom, Rune e Wilma realizzarono un murales a tema, mentre writer assortiti dipingevano in maniera “classica” il resto delle pareti a disposizione.


Nel 2009 poi è iniziata l’avventura di Avia Pervia, uno spazio che ha visto avvicendarsi diversi altri talenti locali, da Reqvia a Zamoc passando per Luca Carta. Nello spazio ricavato da un ex officina, sono state organizzate numerose mostre ed un paio di performance abbastanza estreme di body art, altra mia grande passione.

Per quanto riguarda Icone, nel 2011, quando ormai il nuovo muralismo iniziava a prendere piede in tutto il pianeta ed i rapporti con le istituzioni locali ad essere sempre meno brillanti (nel 2008 viene sgomberato il Libera, lasciando una profonda cicatrice rappresentata anche dal muro di Blu nell’edizione del 2009 di Icone), si pensa di concludere l’esperienza con l’ultima grande murata e una mostra fotografica, 10×365, che ricalca quella di qualche anno prima presso la Galleria Spazio Fisico ma molto più in grande, molto più estrema ed in consapevole contrapposizione alla dilagante estetica pop dei murales e della “street art in galleria”.




Nonostante i propositi e le convinzioni maturate, nel 2013 abbiamo comunque ripetuto per un’ultima volta, con il sostegno della D406 di cui sono stato socio tra il 2012 ed il 2015 circa, l’esperienza di Icone, con l’esplicito intento di sfruttare l’onda di popolarità dei murales e portare attenzione verso centri colpiti dai terremoti del 2012, che hanno lasciato macerie urbane, morti e strascichi psicologici pesanti nelle nostre terre.
Chiuse la lunga parentesi di Icone e le più brevi ma fondamentali esperienze di Avia Pervia e D406, ho poi proseguito la mia ridente carriera di “curatore indipendente” (ovvero senza alcun titolo di studio..) con ruoli diversi in progetti importanti come Indoor/Outdoor a Pisa, The Bridges of Graffiti e 1984, scrivendo testi per alcuni dei writer che stimo di più in assoluto, collaborando in modo continuativo con Whole Train Press, grazie alla immensa fiducia di Domenico De Girolamo, Vicolo Folletto Art Factories e Grog.


Quella che ritengo sia stata per me la svolta a livello di maturità, è stato il viaggio fatto a Dresda nel 2014 grazie all’invito di Jens Besser ad una iniziativa chiamata Time for murals che vedeva ospiti non solo artisti, ma anche curatori di eventi di arte urbana. In quella occasione, grazie al confronto con gente del calibro di David Devouhgeot (Bien Urbain), Georg Barringhaus (CityLeaks) e gli organizzatori di Out of sth ho preso coscienza di quanto potesse essere utile cercare di andare più a fondo nel pensare alle cose, anzichè farle e basta.
L’anno successivo poi grazie alla fiducia di Giorgio De Mitri ho avuto la possibilità di organizzare un ciclo di conferenze durante i mesi di apertura di The bridges of graffiti che mi hanno permesso di conoscere altri di cui stimo moltissimo il lavoro: Giacomo Spazio, Vandalo, Francois Chastanet, Eric Surmont, Harald Hinz e sopratutto Robert Kaltenhäuser che, insieme ai miei “consulenti scientifici” di riferimento Francesco Barbieri, Andrea Ceresa, Collettivo FX, Andrea Baldini, è la persona con la quale mi confronto maggiormente relativamente a questioni di “teoria” legata al writing.