La testimonianza di Carla Barbieri – Modena
di Carla Barbieri
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Progetto Urbaner nasce grazie alle esperienze sedimentate a Modena in relazione alla cosiddetta Arte Urbana Contemporanea nel corso degli scorsi decenni. Tra le figure che più di tutte hanno arricchito l’approccio della città rispetto a questi argomenti, va senz’altro annoverata Carla Barbieri che ha prestato servizio presso la biblioteca civica d’arte ed architettura Luigi Poletti fino al 2019.
A lei, alla sua sensibilità ed alla sua personale iniziativa infatti, si devono non solo alcune importanti mostre presso i magnifici spazi della biblioteca stessa (WUFC. The book, 2006; Cuoghi/Corsello/Dado: Ailanto a cura di Fulvio Chimento, 2016; Collettivo FX: Keine papiere/Senza le carte delle identità, in occasione del Festival Filosofia, 2019 per nominare quelle più strettamente legate ai temi trattati da Urbaner) ma anche una serie di interventi murali e probabilmente la più ricca bibliografia di settore disponibile in una struttura pubblica italiana.
Lasciatemelo dire i graffiti mi piacciono il giusto. Mi piacciono i murales del Collettivo Fx e Simone Ferarein Ferrarini e pochissimi altri, certo non quelli che per vederli ti ci portano in Tour a Roma in autobus. Poi mi piacciono le scritte-scritte, quelle belle.
Ho sempre sognato di alzarmi una mattina e di vedere sulla strada una scritta grandissima che mi dicesse CARLA TI AMO! La volevo fare io davanti alla casa del mio attuale compagno quando non mi considerava mezza.
Mio nonno scriveva di notte sulla strada con la pennellessa e la vernice bianca NO AL FASCISMO oppure CONTRO LA LEGGE TRUFFA. Tutte scritte politiche comunque piene di significato e povere di significante. Mi piacciono i muri parlanti che si fanno capire. Le scritte dei writer non le capisco e mi sembrano tutte uguali.
Sono codici per adepti che si parlano tra loro. E mi paiono tutte un po’ fosche.
Mi piacciono le tag invece perché sembrano timbri, sigilli con cui chi scrive si appropria della cosa su cui scrive, la metro, il seggiolino dell’autobus, il palo della della fermata dell’autobus. Un desiderio irrefrenabile per dire “hey ci sono. Sono stato qui. Prova a prendermi.”
Uno sberleffo alla proprietà pubblica e privata.
E comunque è rimasta nel mio cuore la scritta fatta con la vernice bianca e pennellessa NIXON BOIA sulle vecchie Acciaierie abbattute. Con tutto quello che forse vuol dire.
Sempre grazie a lei, restando in questo ambito specifico, sono stati più volte organizzati incontri che hanno visto tra gli altri, la partecipazione di Franco Vaccari, uno dei più grandi artisti contemporanei in assoluto ed autore di due pubblicazioni seminali riguardanti le scritte sui muri nel 1966, Le Tracce, e 1969, Strip street. Proprio grazie alla sua amicizia con il grande artista e all’intuizione che quei due mondi apparentemente distanti sono al contrario strettamente dipendenti, a Modena si è stati in grado di recuperare la memoria delle straordinarie esperienze rappresentate dalle due edizioni di Parole sui muri (Fiumalbo 1967/68), mettendole in risonanza con l’esperienza di Icone, uno dei primi festival di muralismo contemporaneo in Italia.
Ancora, Carla è stata capace coinvolgere gli organizzatori di Icone – inizialmente non molto aperti al suo approccio verso questi linguaggi – nella realizzazione di una serie di interventi in relazione all’ingombrante storia cittadina del dopoguerra: il primo in memoria dell’eccidio delle Fonderie Riunite del 1950 (Icone 2005), il secondo del 25 Aprile, con la riproduzione di Villa Pentetorri di cui il parco XXII aprile rappresenta l’eredità, e l’ultimo, in ordine di tempo, sul tema delle migrazioni.
È grazie a lei se la memoria del 9 Gennaio 1950 è ora legata in modo fortissimo ai linguaggi contemporanei delle video-proiezioni, della street art e del writing che hanno l’onere e l’onore di contribuire allo sforzo di trasferire nel presente le istanze che la commemorazione di quella tragedia dovrebbe mantenere vive:
[…] il primissimo intervento di arte urbana sul 9 gennaio venne ideato da me e realizzato con l’aiuto degli amici di Avenida, in particolare di Ernesto Tuliozi, già nel gennaio del 2004.
Consisteva nella proiezione notturna della scritta “9 gennaio 1950. 6 morti”, che avvenne nella notte tra l’8 e il 9 gennaio, sulla torre dell’acquedotto che si trova di fronte al cippo dei caduti.

Le uniche testimonianze di questa oper/azione sono queste 2 polaroid scattate dall’artista modenese Gianni Martini che in seguito mi furono regalate. Le fotografie sono state scattate dal Centro di Modena, il che significa che quella notte la scritta di luce si vedeva bene anche da lontano. L’azione artistica voleva essere un segnale per fare luce e riportare alla memoria della città quel tragico evento così importante ma su cui era calato il silenzio e il buio.
Poiché nell’estate precedente erano state abbattute in sordina le Acciaierie modenesi, che si trovavano dall’altra parte della ferrovia, l’operazione artistica fu accompagnata anche da una petizione, di cui fui la prima firmataria, che chiedeva alle istituzioni pubbliche di non abbattere quel che restava delle Fonderie Orsi perché quelle pietre rappresentavano una vicenda dolorosa e importantissima della storia del lavoro non solo della nostra città. Alla petizione aderirono molti cittadini nonché la maggior parte degli intellettuali modenesi.
Io, che allora ero una funzionaria del Comune di Modena, fui richiamata dall’allora Assessore alla Cultura che mi chiese allarmato perché quella petizione e quali erano le mie intenzioni. Risposi che, come cittadina, ero libera di pensare e di fare quello che volevo, nei limiti della legge.Tanto più che il progetto di far ricordare il 9 gennaio 1950 alla città io l’avevo sottoposto per tempo a quelli che consideravo gli enti che più dovevano esserne interessati o che almeno io ritenevo tali: l’Istituto Storico (per la Resistenza) e la Cgil. Entrambi non solo non apprezzarono affatto l’idea di riaprire la ferita dei “fatti di Modena” del 1950 ma, in un qualche modo, mi ostacolarono, rimandando sempre una risposta precisa, che mi era dovuta ma che non mi arrivò mai.
Solo Ernesto Tuliozi si prestò gratuitamente per realizzare questo progetto che ci inventammo all’ultimo minuto proprio per i ritardi di cui ho parlato. Io pagai completamente di tasca mia la sua realizzazione (e per le mie tasche non fu poco). Alla fine l’operazione suscitò moltissimo interesse da parte di tutti gli organi di informazione locali e su grande parte dei cittadini modenesi.
L’anno successivo, assumendo il nome collettivo di Comitato 9 gennaio 1950, proposi alla nuova giunta capitanata da Pighi un programma molto articolato di eventi – cercando ancora una volta di accogliere e collaborare con tutti – che iniziava con la presentazione, la mattina del 9 gennaio 2005, del graffito di Icone.
E questa è la vera storia di come e perché, a 50 anni di distanza dalla strage, si ricominciò a parlare del 9 gennaio 1950.
