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Testimonianza di un fuorisede a Bologna: @fatherlessxcreation
di @fatherlessxcreation

La storia dell'arte urbana bolognese è legata strettamente all'attività dei tanti studenti e lavoratori fuorisede che abitano la città per periodi più o meno lunghi. In questa ricerca cercheremo di presentare anche il loro punto di vista, cominciando da quello di @fatherlessxcreation.

Testimonianza di un fuorisede a Bologna: @fatherlessxcreation

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Testimonianza di un fuorisede a Bologna: @fatherlessxcreation
di @fatherlessxcreation

La storia dell'arte urbana bolognese è legata strettamente all'attività dei tanti studenti e lavoratori fuorisede che abitano la città per periodi più o meno lunghi. In questa ricerca cercheremo di presentare anche il loro punto di vista, cominciando da quello di @fatherlessxcreation.
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Credo che per coloro che da altre regioni si spostano in Emilia-Romagna spesso tutto parta da Bologna. Il percorso migratorio di un ligure fuorisede a Bologna si sviluppa curiosamente, segue dinamiche molto simili a quelle di persone di paesi diversi che migrano verso un’altra zona del mondo. Un ligure ti trova la casa, il contatto giusto per un posto letto dove appoggiarti, i negozi dove spendere meno per fare la spesa. La comunità dei tuoi corregionali ti spiega, ti istruisce, ti forma per nuotare in modo autonomo nel tumultuoso mare del capoluogo emiliano-romagnolo nei primi giorni successivi al tuo arrivo. Nel mio, o meglio nostro caso dato che ho vissuto il mio periodo bolognese sempre in compagnia di amici che con me si erano trasferiti, la guida arrivava in modo ancora più specifico da abitanti della provincia dalla quale arrivavo. Mi sono con il tempo convinto, su basi totalmente illogiche, che il trasferimento in tempi remoti a Bologna di un noto rapper del Ponente Ligure abbia di fatto motivato le generazioni immediatamente successive di quelle cittadine al trasferimento verso l’Emilia Romagna.

Quello che appare essere come un insensato processo di emulazione sicuramente trova altre ragioni nel suo essersi verificato: rispetto ad altre città del nord Italia, forse più indicate per chi ambisce a laurearsi in 5 anni spaccati in Economia e Commercio, Bologna si presentava come una città incredibilmente attraente. Bologna per un diciannovenne non conforme a cui di fatto interessavano solo i graffiti (con quella minima componente del rap ad essi correlata) ed il punk hardcore erano gli spazi occupati dove ogni singola sera della settimana si trovava un concerto, una festa o una iniziativa. Bologna era quella del Livello 57 dove il rap italiano in qualche modo aveva trovato la sua culla e da dove erano usciti i dischi che ti portavi nel walkman dalla prima liceo, Bologna era una rottura profonda con la monotonia provinciale che ti aveva soffocato sino a quel momento, Bologna più che una idea o un progetto (perchè con estrema onestà, in quel momento della mia vita avevo davvero poche idee – e sicuramente nessun progetto) era una sensazione.

A quella sensazione mi ci sono aggrappato a due mani, e dopo neanche 15 giorni di nomadismo tra vari divani a strappare numeri di telefono da annunci in zona universitaria, avevamo deciso. La prima settimana del Settembre 2004, con largo anticipo rispetto all’inizio dell’anno universitario, io ed un amico con il quale avevo iniziato a disegnare un paio di anni prima ci eravamo trasferiti.

Credo che letteralmente la prima cosa che facemmo, il primo pomeriggio fuori di casa non appena lasciato lo zaino e la borsa con le provviste amorevolmente preparate da madri preoccupate dalla rapida fuga dei loro figli dal nido domestico verso l’ignoto, lo passammo in yard. Anche in quel caso, il prezioso contributo dei corregionali trasferiti qualche anno prima aveva fornito informazioni utili per poter disegnare se non altro nel posto più conosciuto, un noto deposito in pieno centro della città da cui si poteva accedere in modo abbastanza agevole da un piccolo parco urbano. Davvero molto poco da capire, i treni sostavano immediatamente oltre l’abituale steccato in cemento che delimita le zone ferroviarie in Italia. Avevamo già dipinto in questo posto nei precedenti viaggi per trovare casa o per raccogliere informazioni sulle varie università, questo primo pannello post trasferimento però aveva il sapore della celebrazione.

Ricordo la sensazione di ingiustificata euforia uscendo dal parco con la sporta con i colori finiti appena usati, il puzzo di vernice fresca e l’idea di trovare un altro posto per dipingere la sera, prima di andare al TPO per un concerto. La sensazione di Bologna.

Archivio Riky Kiwy - Hardcore - Bologna. Courtesy of https://rikykiwy.com/ Instagram: @rikykiwy

Archivio Riky Kiwy – Hardcore – Bologna. Courtesy of Riky Kiwy. Instagram: @rikykiwy

Forse quella euforia poteva in realtà essere parzialmente spiegata dal fatto che la Liguria, soprattutto in quegli anni, offriva davvero pochissimi posti dove disegnare treni e tutti molto distanti gli uni dagli altri. Storicamente le crew liguri della primissima generazione, quelle che avevano iniziato a colorare le pareti dei vagoni nella seconda metà degli anni ’90 erano molto gelose dei loro depositi che venivano difesi con una certa perseverante determinazione. Per chi arrivava dopo restava l’opzione di dipingere sporadicamente in quegli stessi luoghi cercando di non essere notato, o di viaggiare per kilometri in treno ogni fine settimana verso le yard del basso (e talvolta alto) Piemonte. La possibilità di poter disegnare il pomeriggio a pochi minuti di bus dal proprio portone di casa appariva irrealistica. Da lì a poco sarebbe diventata la nostra quotidianità ed il senso di stupore ed euforia si sarebbe consolidato in una molto più concreta voglia di poter disegnare di più, in sempre più posti.

Va precisato che la città in quegli anni dal punto di vista della sua lunga e cruciale storia in termini di graffiti, stava vivendo un periodo particolare. Alcuni dei più attivi writers su treno degli anni immediatamente precedenti si erano fermati, o avevano rallentato la loro frenetica produzione, molti si erano trasferiti e mancava una presenza costante di un gruppo di persone locali nei depositi della zona; e fatta eccezione per le sparute gesta di qualche writer fuori sede di passaggio, la quantità di pannelli dipinta era piuttosto ridotta, così come era ridotta la possibilità di conflitto tentando di esplorare depositi che non fossero quelli noti ai più.

Bologna in quegli anni si stava anche affermando come la città dei Rave party, una fama che si sarebbe presto consolidata nel tempo. Rispetto ad altre zone in Italia dove la scarsità di spazi disponibili costringeva a feste su prati in luoghi montani o in capannoni in zone industriali, nel capoluogo emiliano molte “feste” si iniziarono ad organizzare nei molti centri sociali presenti, che sensibili alla crescente richiesta (quasi tutti i rave erano sold out, ben oltre il limite della reale capienza dei luoghi dove si tenevano) iniziarono ad offire le loro mura per i collettivi tekno e drum n bass che organizzavano le serate. Non ero mai stato particolarmente interessato alla musica elettronica, in particolare avevo una marcata avversione verso la techno cosiddetta “french techno”, la cassa dritta per intenderci. Ben presto però mi accorsi come sia coloro che ascoltavano rap, chi ascoltava punk o hardcore, chi ascoltava reggae o metal, alle feste techno ci finiva e di conseguenza ci finivi anche tu.

Anche le feste tekno rientravano nel pacchetto Bologna, l’improvviso abbandono delle inibizioni che ti costringevano a rientrare costantemente – nonostante i tuoi sforzi per evadere – in un comportamento semi normato (frequentare la scuola, relazione con la famiglia, sopportare le opinioni e i giudizi delle persone della tua città che ti conoscono) durante la vita provinciale non esistevano piu, la percezione è quella di non essere più soggetto ad altrui giudizio se non a quello di coloro che stanno condividendo con te quella esperienza. Le feste, ed il conseguente uso ed abuso di droghe, erano parte integrante della vita di ogni fuori sede a Bologna e ben presto lo diventarono anche della mia.

Ho un ricordo abbastanza confuso, tuttavia lucido in alcuni aspetti specifici della prima festa a cui andai, era quella per l’apertura dell’anno universitario presso il Livello 57 nella sua vecchia sede (quella sotto il Ponte di Stalingrado, a pochi passi dal deposito che aveva inaugurato la nostra permanenza). Il luogo dove si erano creati i più celebri collettivi rap ed hip hop in Italia e dove alcuni dei primi gruppi hardcore americani avevano fatto tappa durante i loro pionieristici tour nel vecchio continente dei primi anni ‘90, aveva rapidamente adeguato la sua programmazione ai trend del momento ed era diventato un punto di riferimento per i ravers.
Ricordo che in quella occasione molti amici da fuori vennero a trovarci, non tutti si erano trasferiti a Bologna alla fine delle scuole superiori, le scelte erano state diverse, ma quella era vissuta in qualche modo come la prima occasione per rivedersi e condividere un momento insieme. Inebriati dalla particolarità del contesto, ricordo che già dalle prime ore del pomeriggio iniziammo a prendere a pugni i nostri neuroni con diverse sostanze. Una volta giunta sera, arrivammo ai cancelli del Livello 57 dove ci attendeva una coda che si sviluppava per buona parte di via Stalingrado. Dopo un lento procedere verso l’ingresso, quanto lento difficile dirlo stante la percezione del tempo piuttosto alterata, ricordo questo stretto passaggio che era necessario percorrere per arrivare all’area interna. Si trattava di un cunicolo dove poteva passare una sola persona alla volta, da ambo i lati, letteralmente posti gli uni di fronte agli altri in una formazione semi militare decine di pusher provavano a venderti la loro merce in una bizzarra forma di concorrenza basata più che sulla abilità del venditore, sulla confusione dell’acquirente. La notte si sviluppò in un continuo rincorrersi di conversazioni sconclusionate, allucinazioni visive e memorie che si fondevano con la realtà, sino ad arrivare al mattino ed alla veglia nel letto per ore, ancora troppo immerso nella serata appena vissuta per riuscire a prendere sonno. Alcune delle persone che condivisero con noi quella notte ne rimasero più impattate di altre : sicuramente questo insieme ad altri fattori contribuì a modificare la mia percezione della realtà delle cosiddette “feste”e delle persone che le popolano, così come determinò alcune delle scelte che hanno determinato in modo permanente il mio modo di vivere.

In quel periodo, come è facile immaginare, le nostre presenze alle lezioni universitarie furono davvero poche. La combinazione tra il fitto calendario di eventi programmati durante i fine settimana ed i graffiti, divenne una ideale combinazione per riempire le proprie settimane senza che vi fosse molto spazio per altro. In alcune occasioni questa allucinata organizzazione della propria quotidianità ha offerto spunti innegabilmente interessanti. Ricordo una istantanea che, per qualche ragione, mi è rimasta particolarmente impressa. Il tutto era cominicato con una serata spesa nella nuova sede del Livello 57, una orripilante tensostruttura che l’amministrazione comunale del tempo pensò, con cinico calcolo politico, di proporre come nuova sede per poter chiudere quella in centro.

Die in azione, Suburbana di Bologna. Archivio Riky Kiwy - Action - Bologna. Courtesy of https://rikykiwy.com/ Instagram: @rikykiwy

Die in azione, Suburbana di Bologna. Archivio Riky Kiwy – Action – Bologna. Courtesy of Riky Kiwy Instagram: @rikykiwy

D’altronde in periferia le orde di ragazzini sballati avrebbero dato meno fastidio. Poco distante da quella zona si trovava il principale deposito cittadino della linea Suburbana di Bologna, una ferrovia a gestione privata sulla quale in quel momento viaggiavano principalmente littorine fiat 668 di vecchia generazione, alle quali era stata applicata una nuova pellicola per facilitare la cancellazione dei graffiti di colore giallo chiaro, grigio e blu, a sostituzione della vecchia livrea. Storicamente le fiancate di queste littorine sono state ricoperte da strati di pannelli dei più attivi writers della zona, oltre a numerosi visitatori e turitisti da tutta europa, conseguentemente il livello di sicurezza dei posti dove disegnare questa linea era più alto che quello negli altri depositi cittadini. Di solito la macchina della sicurezza arrivava poco dopo cena, stazionava all’interno del perimetro in prossimità dei treni, il metronotte alternava svogliate passeggiate tra i vagoni a lunghe soste in auto. Vista la scarsa prevedibilità dei giri di controllo avevamo iniziato a disegnare in questo posto nel tardo pomeriggio durante l’inverno, quando le giornate sono corte e diventa buio presto. Quella notte di primavera pensammo che sarebbe stato interessante provare a controllare il posto anche nelle prime ore della mattina della domenica visto che la possibilità di dipingere nel pomeriggio iniziava ad essere compromessa dall’allungarsi delle giornate.

Realisticamente il turno notturno della sicurezza sarebbe finito intorno alle 06.00 ed i primi treni vista la giornata festiva sarebbero iniziati a circolare dopo le 07.00. In previsione di questo programma non esagerammo durante la festa, ricordo che già all’inizio della serata mal sopportavo l’eccessivo affollamento di quel pallone di plastica in mezzo al nulla, dove la scarsa aerazione aveva da subito creato un effetto di condensa ed il sudore delle persone che ballavano tendeva a ristagnare sul soffitto della struttura, salvo poi ripiovere giù a grosse gocce. Intorno alle 05.30 ci spostammo verso il deposito, per attendere l’uscita del metronotte. Non ricordo se al nostro arrivo fosse già andato via, o ci toccò attendere qualche minuto. Dopo una rapida scossa ai colori accedemmo dal retro della yard, avevamo intenzione di dipingere il treno parcheggiato a fianco all’hangar principale su una confortevole spianata in asfalto che permetteva di muoversi agevolmente. Stava albeggiando, i primi uccelli iniziavano a cantare nelle campagne non distanti. Il buio rischiarato dalle luci gialle delle zone industriali che circondano Bologna ed i suoi molti capannoni, veniva sostituito da un blu tenue che permeava l’ambiente circostante. Disegnammo per circa 20 minuti nel più totale silenzio, uno di noi a turno faceva capolino dal frontale del treno per controllare che dalla cancellata principale non arrivassero le macchine dei lavoratori per mettere in funzione i primi treni. L’aria fresca delle prime ore del mattino aveva sostituito l’odore stantio e l’aria pesante che avevamo respirato durante la notte alla festa. Lo spazio tra la parete dell’hangar ed il treno non permetteva di fare fotografie quindi non ci dilungammo oltre, una volta finito di dipingere iniziammo a camminare verso l’uscita mentre ormai la luce del giorno rischiarava le strade ed i primi dipendenti della ferrovia accedevano al parcheggio del deposito. L’instantanea di quella mattina in qualche modo è una delle tante che forma, in un puzzle dai colori vividi e sorprendentemente ben definiti, il periodo che stavamo vivendo e che avremmo elaborato in modo più consapevole solo dopo parecchio tempo.

Sicuramente l’assenza di gruppi di writers locali attivi in quel momento aveva il merito di favorire lo sviluppo di relazioni tra persone che come noi si trovavano a Bologna da visitatori, o magari abitavano in zone limitrofe e non erano prima di quel momento stati particolarmente attivi entro i confini urbani. Iniziammo a frequentare alcuni altri writers del centro o sud italia, o della provincia emiliana o romagnola. Come spesso accade con alcune di queste persone le cose deteriorarono abbastanza rapidamente per differenza di prospettive ed attitudine, con altre invece la iniziale affinità presto evolse in un rapporto di amicizia e di reciproca motivazione nel dipingere: loro venivano in città per testare nuovi posti e nuovi orari che senza il supporto logistico di qualcuno che viveva in Bologna sarebbero stati complicati da controllare, mentre noi durante i fine settimana ci spingevamo nelle città di provincia per dipingere in altri luoghi, vedere altre linee ed altri modelli di treno (erano gli anni in cui le ferrovie private emiliane ancora non erano state unite nella unica società FER e sfoggiavano una vasta gamma di diverse livree e modelli di materiale rotabile – ricordo con particolare entusiasmo le stupende littorine verde scuro delle Ferrovie Padane di Ferrara). In realtà con alcune persone, in particolare con il gruppo dei ragazzi della costa romagnola che avremmo da li a poco iniziato a frequentare assiduamente, il rapporto di amicizia nacque dopo un paio di nostre autonome gite fuori porta verso una nota località di mare dove, avevamo saputo, veniva lasciato un treno ad alta velocità per Roma.

Chiaramente quello era uno dei luoghi dove loro disegnavano abitualmente ed il primo contatto fu comprensibilmente di iniziale diffidenza, ma dopo un breve chiarimento ed un paio di serate passate insieme, si capì subito che la cosa poteva funzionare e si iniziò una interminabile quanto indimenticabile sessione di vicendevoli trasferte attraverso quella eterna linea dritta di autostrada (ancora più dritta per chi è abituato a guidare sulle tortuose strade liguri) che collega la Romagna con Bologna.

Solitamente la dinamica tra persone che si trasferiscono all’interno di una data città e sono in qualche modo “intruse” e quelle che invece sono del posto alterna momenti di collaborazione a momenti di conflitto, spesso perchè le persone che sono cresciute e vivono in un determinato contesto rivendicano la gestione esclusiva dei luoghi ove si disegna e se gli esterni accettano questa dinamica di gregaria dipendenza e sussidiarietà le cose possono funzionare, ma se inizano a definirsi iniziative autonome riguardo ai depositi, i rapporti si guastano abbastanza in fretta.

Interpretata sotto questa lente l’aspetto sociale delle relazioni tra le persone che dipingono sui treni è quanto di più gerarchico, utilitarista ed esclusivista vi possa essere. Pur comprendendone l’assurdità chi disegna impara a comprendere ben presto la necessarietà di questa “legge” non scritta, perchè se tutti disegnano dappertutto, presto o tardi nessuno disegnerà da nessuna parte in quanto i depositi inizieranno ad essere impraticabili. In quel periodo a Bologna, almeno per la prima parte della nostra permanenza, questa dinamica era stata in qualche modo dimenticata o persino sovvertita perchè di fondo nessuno nel gruppo di persone che frequentavamo aveva una storia che lo legava in modo personale ai posti dove si stava disegnando. Tutto era nuovo in quel momento, tutto era possibile ed esplorabile e nessuno, almeno per il momento, aveva interesse a mettersi di traverso.

I primi mesi furono un costante tentativo di riaprire luoghi che storicamente avevano segnato la storia della città, ma che per svariate ragioni dopo l’abbandono della prima e seconda generazione di trainwriters bolognesi erano stati evitati. Forse per un giustificato elemento di rispetto verso chi era venuto prima, sicuramente anche per il lavoro di “dissuasione” che costoro avevano portato avanti negli anni precedenti. Se fossimo capitati a Bologna anche solo un paio di anni prima probabilmente non lo avremmo considerato, ma compresa la temporanea assenza di un presidio permanente ben presto iniziammo a capire come per poter dare sfogo alla nostra necessità di disegnare il luogo da espugnare era il deposito centrale di Bologna Ravone. Questo deposito, forse come pochi altri in Italia se si parla di ferrovie nazionali, possedeva già al tempo una fama che arrivava ben oltre i confini regionali. Questo sicuramente grazie a chi lo aveva dipinto con assiduità per anni, ma forse anche per la sua conformazione molto particolare, per i numerosi spazi dove disegnare in modi e momenti diversi, per la sua grande esposizione (non appena si entra a Bologna in treno arrivando da nord il deposito si vede in tutta la sua ampiezza).

Le prime serate furono caratterizzate da una serie di goffi tentativi di trovare una entrata sensata per raggiungere i luoghi dove ci eravamo prefissati di dipingere, eravamo particolarmente interessati a raggiungere una delle zone che a sud dei capanni principali vedeva parcheggiati durante la sera i treni regionali, in particolare i metropolitani che sapevamo avrebbero girato dipinti per più tempo e nelle città limitrofe, offrendo maggiori possibilità di fare una foto di giorno. Dopo qualche mese e molti tentativi capimmo che il deposito era abbastanza complesso da avere ben più di una entrata e soprattutto che non ovunque gli orari migliori per disegnare coincidevano. Una volta compreso come entrare, dopo aver familiarizzato con gli orari e le abitudini della non proprio solerte vigilanza, iniziammo a dipingervi regolarmente condividendo le nostre scoperte con le persone che, per una ragione o l’altra si trovavano con noi una sera per disegnare.

Vi sono davvero molti ricordi che questo posto incredibile richiama, momenti che fatico a mettere a fuoco ed in ordine cronologico, ma che fortunatamente le foto dei pezzi dipinti collegano alle nottate trascorse, alle facce di chi c’era, alle sensazioni provate. Come quando con alcuni amici venuti a trovarci da altre parti della regione decidemmo che trascorrere in yard la serata della finale dei Mondiali di calcio 2006, Italia contro Francia, sarebbe stata una buona idea.

Panda Young - Archivio e foto Riky Kiwy

Panda Young, Bologna. Archivio Riky Kiwy – Bologna. Courtesy of Riky Kiwy Instagram: @rikykiwy

Arrivando da casa sino al lato della yard dove venivano parcheggiati i treni interregionali, molti dei quali non partivano nell’immediato e sarebbero rimasti li il giorno dopo per poterli fotografare, le strade si presentavano irrealmente deserte, solo la nostra Panda Young stipata con 5 persone a bordo (alcune per altro non di modesta statura) scorrazzava per le vie del centro. Considerando la particolarità del momento, si era tutti abbastanza tranquilli nel disegnare e non ci eravamo posti particolari limiti di tempo. In lontananza si riusciva a distinguere solo qualche sparuto fischio o imprecazione che arrivando dalle finestre aperte nei palazzi vicini suggeriva che la partita in qualche modo si stesse sviluppando in modo negativo per l’Italia e che quindi saremmo usciti dal deposito solo per mischiarci in una triste e lenta processione di auto riempite da tifosi delusi che tornavano verso le proprie abitazioni dopo aver visto la partita altrove. Mentre ci apprestavamo a chiudere, il rumorio di fondo iniziò a crescere lentamente, si stavano tirando i calci di rigore (sebbene noi ne fossimo ignari) e ad ogni gol segnato il rumore aumentava di intensità. Infine, il boato. Normalmente i depositi dei treni sono luoghi piuttosto silenziosi, dove si tende a non voler fare rumore per non creare attenzione, quindi eravamo particolarmente straniti dal fatto che l’esplosione di gioia nella città ci avesse raggiunto rendendo qualsiasi tentativo di parlare sottovoce tanto grottesco quanto inutile. Ricordo che l’assurdità della situazione spinse alcuni di noi ad esplodere in una risata nervosa. Dopo poco saremmo saliti in macchina, solo per trovare le strade della città invase da una colossale calca di auto e persone deliranti che ci avrebbero impedito di raggiungere casa per le 3 ore successive.

Purtroppo questo luogo che in qualche modo ha accompagnato in modo così significativola mia e la nostra permanenza a Bologna, ha anche sancito la fine di quel periodo. Talvolta il rancore e la frustrazione, mischiate insieme nel momento sbagliato possono determinare scelte non ragionate, scelte che con il tempo ho rielaborato in modo estremamente critico. Senza scendere nei dettagli di quella che fu l’ultima sera passata a Bologna posso asserire con relativa certezza che per un periodo abbastanza lungo non fummo, comprensibilmente, i benvenuti in città.

Da un punto di vista di crescita ed evoluzione personale sicuramente il periodo a Bologna fu di fondamentale importanza, uscire dalla provincialità per iniziare a confrontarmi con una realtà diversa sicuramente ha, anche sulla base degli errori fatti e delle facciate prese, un grosso potenziale formativo. In quegli anni si stava concludendo la campagna animalista radicale Chiudere Morini, contro un allevamento di animali per la sperimentazione a San Polo d’Enza, in provincia di Reggio Emilia. Essendo vegetariano da tempo decisi di partecipare ad alcuni cortei, rimasi incredibilmente impressionato e motivato da quel contesto e soprattutto da quel tipo di attivismo. Nelle realtà di provincia spesso non si trovava molto di diverso che qualche demoralizzato iscritto a grosse associazioni nazionali che organizzava tavoli informativi nella generale differenza, ma quello che stava succedendo con la campagna contro Morini in Emilia era che un gruppo, anche abbastanza ridotto, di persone aveva dichiarato guerra aperta alla industria della vivisezione senza accettare nessun tipo di mediazione, gerarchia o appoggio istituzionale e stava vincendo. Dopo qualche mese la campagna si chiuse per svariate ragioni, l’impatto però era stato enorme. Decisi che era giunto il tempo di ragionare in modo più risoluto sulla mia dieta e decisi di diventare vegan, una scelta che penso abbia definito in modo permanente quella che sarebbe stato il mio sistema di valori etici da quel momento in avanti.

La assidua partecipazione alle feste rave dopo l’iniziale periodo di entusiasmo iniziò a scemare, i trascorsi di alcuni amici che in seguito alla assunzione di droghe avevano avuto problemi di salute mentale e la crescente consapevolezza di quanto quell’ambiente così marcatamente individualista ed opportunista non facesse per me mi spinse a cercare altro. Iniziai a frequentare tutte le volte che potevo l’Atlantide di Porta Santo Stefano, punto di riferimento per la scena punk ed hardcore della città con un calendario di concerti che nel periodo dell’anno universitario erano abbastanza fitti da rendere difficile poter presenziare a tutti. Ricordo che una sera suonavano questi I Shot Cyrus un gruppo hardcore brasiliano che onestamente non avevo mai sentito prima, ma andammo comunque. Appena iniziarono a suonare il posto implose letteralmente. Atlantide era noto per la grossa partecipazione delle persone ai concerti, era un luogo piccolo e che si prestava molto, ma quella volta ricordo che si creò una situazione in cui le persone davanti al gruppo, faticavano a tenere su le persone che si lanciavano da quello che fatico a chiamare palco. I pezzi erano velocissimi ed il tiro del gruppo assolutamente perfetto, rimasi colpito quando il cantante mostrò una vistosa X tatuata su buona parte della schiena. Avrei scoperto qualche tempo dopo che si trattava del cantante di quello che è probabilmente il più importante gruppo hardcore sud americano, i Point of No Return. Sapevo che esisteva questa cosa chiamata Straight Edge in qualche modo connessa alla scena hardcore, ma di fatto l’approccio Live fast, die young che rivendicavo orgogliosamente in quegli anni non mi aveva mai fatto avvicinare alla idea nè creato interesse.

Manifestazione animalista, circa 2004. Archivio Die

Manifestazione animalista presso la Fondazione Centro Ricerche Marine di Cesenatico, circa 2004. Courtesy @fatherlessxcreation.

Iniziando a vedere sempre più concerti e conoscendo sempre più persone all’interno della scena hardcore compresi come questa percezione del proprio modo di essere e del rapportarsi con gli altri non fosse poi qualcosa di così esotico e distante, ma come appartenesse a molte persone che stavo conoscendo e le influenzasse in modo positivo.

Ricordo come punto di svolta il concerto di due gruppi americani in quel di Imola, in un posto anche qui molto piccolo che si chiamava Peacemaker. In particolare uno dei due gruppi aveva dei testi molto espliciti riguardo allo Straight Edge ed alle ragioni dietro alla scelta di astenersi dal consumo di sostanze. Io paradossalmente ero andato per vedere l’altro gruppo, ma rimasti letteralmente fulminato. Iniziai ad ascoltare il disco e dopo poco divenne la colonna sonora delle mie giornate. Mentre alla spensieratezza dei primi mesi fuori sede si stava sostituendo una crescente consapevolezza causata dalle diverse batoste che la vita riserva quando meno le aspetti, le parole di alcuni testi iniziarono a diventare un supporto attivo dove trovare la motivazione e il conforto che durante l’adolescenza si ricerca nelle pratiche di gruppo e nella approvazione da parte dei propri coetanei.

Questa situazione nel suo complesso contribuì alla mia scelta di eliminare dalle mie giornate non soltanto le droghe, ma qualsiasi altra sostanza che creasse o potesse creare dipendenza. In poco più di due anni, tutto era cambiato.

In qualche modo il periodo vissuto a Bologna ha contribuito, in un breve lasso di tempo, a variare la mia prospettiva in modo radicale: dalla totale inconsapevolezza, alla volontà se non altro di autodeterminare alcune scelte personali, che caratterizzano anche il mio presente.

La costante in questo burrascoso e significativo periodo sono stati i graffiti, le nottate spese ad inseguire i treni e le giornate buttate in banchina sperando in una foto. Questa città è stata in grado di regalarmi in 2 anni forse alcuni dei più intensi (da intendersi tanto in senso positivo, quanto negativo) momenti vissuti sino ad ora, ed è forse per questo che anche oggi riesco a ricordarla e riviverla solo attraverso quella altalenante percezione odio/amore che si riconosce solo alle cose che valgono abbastanza da non lasciare indifferenti neanche a distanza di tempo.