Intervista a Dado (SPA – MW – ADM) – Bologna
di Pietro Rivasi
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Quando hai sviluppato interesse verso il writing e/o arte urbana più in generale?
Ho iniziato questa avventura in seconda media, scrivendo e disegnando sui muri della scuola e sulle panchine… così, a caso! Ero confuso, ma anche eccitato.
Scrivevo il mio aka (Dado) ed anche il nome dei gruppi musicali metallari o pop che mi piacevano. Al tempo, usavo pennarelli e spray. A quell’epoca, era il 1988, nel mio quartiere, Mazzini, erano comparsi già diversi murales e molte scritte sui muri. A inizio anni ’90, vidi il primo pezzo, cioè un disegno di lettere in stile, realizzato da Kimet e Shorty.
Dado – Bologna – Foto credit: Vinz Rosso
Il pomeriggio stesso volli anche io sperimentare un disegno di lettere. Capii subito che questa cosa mi interessava ed ebbi chiaro il modo in cui avrei potuto scrivere il mio nome ovunque, traendo così, da questo esercizio, il potere di realizzare qualsiasi cosa, di rendere reale ogni mia fantasia, di tradurre una energia che respiravo e che, in realtà, ancor più sognavo.
Come era la situazione nella tua città all’epoca, c’erano già segni riconducibili a questi movimenti quando tu hai cominciato?
Sì, c’erano dei segni. Ricordo bene l’esistenza e l’inizio di una realtà di writing e hip-hop nei centri sociali bolognesi che ha giocato il ruolo di importare in Italia i movimenti alternativi d’oltre alpe ed oltre oceano. Per la cultura underground (come punk, hip hop e tanto altro), i centri sociali sono stati un veicolo informativo indispensabile ed un luogo dove vivere e sviluppare queste culture. Tuttavia, anche se meno organizzate, nacquero altre realtà molto importanti che prendevano piede e forma in maniera indipendente, tra i quartieri e la gente, attigue ma non legate ai centri sociali, in quanto meno incentrate sulla politica o movimenti culturali e sociali. Io credo che in Italia fu proprio questo tipo di realtà a ricondurre il writing alla sua autentica origine, vale a dire una espressione reale e disinteressata, ingenua, ignorante, pura ed anche sbagliata.
Dado throw up 1992 – foto courtesy of Cuoghi-Corsello
In questo modo, il movimento del writing è riuscito a rinascere e mostrarsi in varie forme, molto più vicine e fedeli al perimetro sociale dove esso spontaneamente si manifestava. Da questo movimento, poi si sviluppò la pratica, la disciplina, la cultura, la moda dell’arte legata alla strada ed essa poteva riguardare una singola persona, un piccolo gruppo o una intera zona. Da questo processo deriva che il Writing e tutta l’arte urbana che ne è seguita, riescono ad organizzarsi su tessuti sociali molto differenziati tra loro, creando una scena che si scosta dalle dinamiche più mediatiche dei centri sociali. Questa è la caratteristica che li rende sempre attenti a ciò che accade e che cambia, diventando espressione diretta e vigile della società contemporanea.


Quali sono i primi segni che hai visto dal vivo e ti hanno colpito e perché?
Primo tra tutti, emerge il ricordo di un murales con la scritta “Serena ti amo” contenuta dentro un grande cuore dove si stagliavano due profili stilizzati di una coppia che si baciava. Le scritte sui i muri in generale mi affascinavano molto. Successivamente, quel pezzo “hard-core “in via Ponte Vecchio a Bologna, eseguito da Shorty del gruppo FCE e da Kimet. Poco dopo, ricordo il simbolo a tridente di CK8 e le oche di Pea Brain.
“Paesaggio” di Pea Brain – Rusty – Mel – Dado – 1992 – Foto courtesy of Cuoghi Corsello
Credi che ci siano stati dei locali o delle situazioni, istituzionali o meno, che possano aver contribuito al loro sviluppo?
Come già anticipato nella seconda risposta, assolutamente sì. Per me, il primo luogo dove esprimermi e sperimentarmi è stato il parco sotto casa, la Lunetta Gamberini: lì, si formò un gruppo, delle tendenze e delle abitudini che ci avrebbero portato a disegnare i muri.
Non ero da solo, c’erano altri ragazzi del quartiere (Side, Aska, Ramon, ecc. ) che si approcciavano e divertivano scrivendo il loro aka. Il writing non fu una scelta, ma semplicemente una esperienza che è nata lì, dove ero insieme ai miei amici. Allo stesso modo, ci furono come luoghi di ritrovo il parco dei Giardini Margherita e il Bar Romagnoli.
In seguito, crescendo, il liceo artistico fu per me un luogo dove maturare le prime serie esperienze di confronto con altri writer della città. Conobbi finalmente gli autori del pezzo in via Ponte Vecchio, Shorty e Kimet, poi anche Mambo, Ciuffo, Tork, Andy e tanti altri … Mi inserii così nella scena, formando le mie prime crew….poi in seguito arrivò l’esperienza del centro sociale chiamato Livello 57 dove c’era la Zona DOPA dedicata alle discipline del Hip Hop, lì si potevano trovare le rampe da skate board emuri da dipingere liberamente.
Nel tempo, come è evoluto il tuo rapporto con queste forme d’espressione?
Il rapporto si è evoluto insieme a me ed ha costituito un vero e proprio percorso di crescita, uno strumento di apprendimento delle dinamiche della vita ed anche una espressione vitale…




L’evoluzione delle forme di espressione legate al writing ha seguito il percorso della mia vita. Sinceramente, ho trasformato tutto ciò che mi circondava in qualcosa che avesse a che fare con questo fenomeno. I miei amici, fossero quelli del bar e del quartiere, anche quelli più disinteressati al fenomeno, divennero subito miei complici, o come pali per le mie fortuite azioni o come sperimentatori diretti, cimentandosi direttamente in questa esperienza per una estate o per qualche anno.
Come ho già avuto modo di dire, ho continuato a fare writing al liceo e all’accademia, conoscendo tanti writer ed artisti di strada. Allo stesso tempo, seguii i gruppi di writer che nascevano spontaneamente nella strada, le cosidette “Crew”; così la mia formazione ha avuto come base il confronto e la collaborazione con diversi contesti.
Spesso, i gruppi erano formati non solo da writers, ma anche da cantanti o ballerini hip hop; vi erano poi anche tante persone che contribuivano alla scena come testimoni o frequentatori, ma che non praticavano direttamente una delle discipline hip hop. Così facendo ho conosciuto e collaborato con molti writers della mia e di altre città.
Dopo la metà degli anni ’90 sono entrato a far parte del gruppo SPA e abbiamo iniziato a partecipare a delle convention di livello nazionale, allargando la nostra rete di conoscenze. Subito dopo, fu per me determinante nella ricerca del mio stile il fatto di conoscere e dipingere con Phase2. Non ho mai smesso però di vivere parallelamente anche l’ambiente universitario e quello dei centri sociali. Mi piaceva trascorrere molto tempo con Cuoghi e Corsello, artisti di arte contemporanea, e rimanendo anche estremamente legato alle mia origine, il mio quartiere, i miei amici. Cercavo di unire tutto, dentro la stessa cornice della mia realtà di writer. Il rapporto con questa espressione artistica è divenuto motivo per intrecciare relazioni e vivermi un sociale dove si contribuisse a creare una realtà indipendente ed autonoma. In seguito, questo fenomeno mi ha attraversato in molteplici esperienze, dal lavoro alla vita personale.
Ho utilizzato questa espressione per migliorare me stesso, per dare il peggio ed il meglio di me, sia come writer, sia come uomo.
Hai una opinione rispetto al modo nel quale queste forme si sono evolute nell’arco degli anni, fino ad oggi?
Sì, ho una visione chiara e molto lucida che è lontana dalle opinioni o dai punti di vista. Riesco a capire il fenomeno del writing e quei movimenti che ne sono seguiti, come un percorso ed un linguaggio unico ed universale.

C’è un pezzo, una tag, che per te meriterebbe di essere riconosciuto istituzionalmente come rilevante dal punto di vista socio-storico-artistico-culturale per lo sviluppo di queste forme d’espressione?
No, non c’è una sola tag o un solo pezzo. Esprimo il mio dissenso nel vedere valutare una tag o un pezzo come isolati per determinare un percorso o una esperienza. Ciò che conta è l’evoluzione, questo serve per capire il fenomeno e magari comprenderne la sua bellezza. L’evoluzione è legata alla serie dei graffiti, al cambiamento, alle scelte tecniche (spray, rulli, pennarelli, ecc.) o pittoriche ( bombing, block buster, ecc.). Ciò che mi interessa è dunque l’utilzzo del fenomeno del writing come evoluzione di una espressione stilistica.
Dado sketch, 2000
Tra i percorsi dunque che mi interessano, trovo inanzitutto il lavoro di Phase 2, mi entusiasma l’evoluzione di Delta l’olandese. Stupenda è l’espressione evolutiva di Cuoghi e Corsello che esprimono un connubio per me affascinante di writing ed arte contemporanea. Ammiro anche Sky 4 del gruppo CKC di Milano, Rusty SPA di Bologna; Boogie del gruppo EAD di Padova. Questi ultimi hanno dato le basi per i primi stili personali in Italia.
Sono molto interessato al tuo rapporto con Cuoghi e Corsello, potresti parlarmene? In particolare, so che avete fatto insieme una mostra da Cattelani nel 1995, se non sbaglio…
Il rapporto instaurato con Cuoghi e Corsello è unico nel suo genere. Loro sono una coppia di artisti con i quali, sin dall’ inizio della nostra frequentazione, si è naturalmente creato un rapporto di complicità e di amicizia. Siamo rimasti legati negli anni ed abbiamo fatto molte esperienze insieme. Abbiamo condiviso amici, luoghi e un percorso artistico, molti svaghi e passioni … tutto questo è sempre stato accompagnato da una grande intesa intellettuale ed un grande affetto.
Potresti raccontarmi della tua ricerca sul writing come linguaggio? Questa complessa indagine che hai affrontato con i tuoi collaboratori, ha avuto ad oggi ripercussioni nella lettura del fenomeno da parte del mondo accademico?
La mia ricerca, ad oggi ancora attiva, è incentrata sulla nascita del writing perché riconosco in questo fenomeno l’inizio e la base di tutti i movimenti culturali ed espressivi nell’ambito dell’arte legata alla strada. Riuscire a dimostrare che il writing è la base e l’origine di tutta l’arte di strada è per me fondamentale. La nascita del writing è l’origine perché, secondo me, esso svela il tipo di processo creativo che caratterizza, unisce ed accomuna tutta l’arte di strada. La base del writing e di tutta l’arte che ne è seguita, si situa nella creazione di un linguaggio che non segue le regole formali del sistema linguistico classico, ma quelle informali, condivise e condivisibili da chi lo pratica e dal sociale da cui radicano. Muovendosi sulla base di questo linguaggio, che è mezzo e fine, significante e significato, quello che il writing e l’arte di strada disegnano è la comunicazione stessa.
La comunicazione e il linguaggio sono il soggetto (o il tema) delle diverse evoluzioni e mutazioni del fenomeno iniziale del writing.
Il mio libro L’esperienza del Writing vuole dimostrare che tutto quello che oggi chiamiamo arte urbana, di strada, street art altro non è che un fenomeno creativo di comunicazione visiva. In quanto tale, esso è un linguaggio visivo condiviso, e proprio perché “condiviso e condivisibile” è anche mutabile ed in evoluzione.

Quando parlo genericamente di “arte di strada” intendo parlare di una struttura che la caratterizza tutta e che è costituita da tre assi: il luogo (luogo fisico, come le città, i treni, le gallerie, ecc.; ed il luogo ideale che è la scena); il soggetto, che è la comunicazione (tag, disegno, scritta, figura, ecc); la tecnica pittorica, utile a mettere in atto gli altri due principi (spray, rulli, ecc.).
Il Writing come fenomeno culturale e come linguaggio visivo, non ha precedenti o collegamenti con la storia dell’arte. Si tratta di un punto zero, perché il Writing non nasce come forma d’arte e, tanto meno, ambiva ad esserlo. Esso nasce dalle scritte dei nomi sui muri e arriva ad evolversi, trasformando in forme proprio quei segni che compongono la scritta e le lettere. Le forme sono disegnate in vari modi: o tracciando un perimetro attorno ai segni di cui è composta la scritta; oppure, inventando dei perimetri in modo intuitivo o progettandoli con speculazioni geometriche che descrivono quelle scritte. Anche i simboli, i fumetti e i paesaggi sono inclusi in questo gioco di comunicazione. Quello che voglio dire, è che i primi writer hanno preso la scrittura del nome come soggetto da disegnare e da evolvere. Se ci fermiamo a pensare, la scrittura è un prodotto dell’uomo che serve a comunicare. Il nome è la rappresentazione (scritta o sonora), di ciò che ti identifica come persona. Il disegno della scritta del nome diventa un mezzo di ricerca e rappresentazione.

Il fenomeno del writing nasce ed evolve grazie alla partecipazione delle persone. Il writing (e l’arte urbana in generale) necessita di interlocutori: altri writers o giocatori, sostenitori, complici, addetti ai lavori e spettatori. Questi ultimi sono indotti a vedere forzatamente le opere perché noi writers le imponiamo nei luoghi dove le persone passano. Per ultimo arriva (e a volte non arriva) l’approvazione, il plauso degli spettatori e addirittura la commissione; in poche parole arriva una “scena”, un sociale che gravita attorno al writer.
Il writing, per vivere e svilupparsi, necessita di una scena dove sperimentarsi e proiettare il proprio fare in una dimensione coinvolgente e condivisa. Il writing è una sorta di fede, un ideale che non parte da una idea, ma dal gesto di contribuire praticamente alla dimensione collettiva di appartenenza; una dimensione che è costituita da altri writers, da chi partecipa alla scena e dello spettatore che giudica, Tutto questo porta ad un confronto e ad una collaborazione che aiutano la scena ed il singolo writer ad evolversi.
Accade poi che questo tipo di linguaggio visivo arrivi a creare degli stili che, come tali, sono riconosciuti come evidente espressione di un processo creativo che veicola un messaggio riconoscibile anche se non esplicito. A quel punto, lo stile è condivisibile.

Parliamo anche del secondo asse, il luogo. Spesso come mezzo di supporto di un “pezzo” sono stati usati i vagoni dei treni che si muovono da una zona all’altra (comuni, città, regioni, nazioni). Le rotaie sono il presupposto per questa rete di trasporto che, per il writer, diventa subito una vera e propria rete di comunicazione e di scambio. Infatti, le rotaie permettono la visibilità dei vagoni su cui un writer dipinge il proprio pezzo. A quel punto, il pezzo è mostrato a un pubblico molto ampio e suscita una risposta partecipata che, nel caso di altri writer, sarà rappresentata da un altro pezzo su un treno.
Ho sempre sostenuto che i writer abbiano anticipato, in maniera meccanica, l’idea di rete dei social web. Infatti, anche loro hanno creato una rete di scambio e di condivisione di immagini, scritte, fumetti, ecc., sfruttando la rete dei treni o della metropolitana che attraversa la città.
Possiamo trovare diverse e simpatiche similitudini tra il writing e un canale social: le piattaforme di riferimento sono COME STAZIONI e DEPOSITI dove lanciare un messaggio (dipinto, nel caso del writing). Anche nei social si sceglie un soprannome, arrivando a rendere pubblica solo una parte di sé che viene riconosciuta in una comunità web. Allo stesso modo, il writer disegna il suo aka o soprannome e mostra una parte di sé attraverso l’elaborazione di un proprio stile. In questo modo, disegnando il soprannome, il writer entra a far parte di una comunità dove ci sono persone che lo seguono e gli rispondono con il plauso o con altri pezzi

Nel writing, il significato è il significante stesso. Infatti, il significato è lo stile del disegno della scritta del nome; lo stile diventa tale quando viene riconosciuto dalla scena. In questo modo, il writing non veicola significati, ma solo significanti, al pari di ciò che sono le note per la musica. Le note sono forme primarie, semplici ed elementari e non significano altro. Così anche il writng ha le sue note, ovvero le forme ( come la barra, l’ovale, ecc. ) ed i simboli (come frecce, cuori, ecc.), conosciuti e convenzionali, che concorrono a creare il disegno della scritta del nome attraverso un gioco di combinazioni ed un processo creativo che assomigliano molto a quello della musica. Questo tipo di processo creativo è la base e l’ordine di tutti i generi di forme espressive relative alla strada. Inoltre, come nella musica, anche nel writing ci sono metodi di composizione di forme, maniere pittoriche, tipi di approcci che evolvono e cambiano a seconda delle diverse scene, gruppi o classi.

I writer parlano di “disciplina” o “attitudine”. Allo stesso modo in cui la grafia è specchio della complessa natura umana, anche nel Writing la tag è custode di innumerevoli segnali e differenti forze: direzione, velocità, pressioni, dimensioni, ordini ed energie che sono combinate tra loro. Attraverso lo studio insistente e compulsivo della propria calligrafia, la ripetizione continua del proprio nome, lo studio delle forzature, delle distorsioni e delle rotazioni della lettera, il writer si relaziona con i propri impulsi, con il proprio io e con lo spazio che abita. E quando il Writer perviene ad un proprio ed inimitabile Stile attraverso il disegno ovvero la composizione di forme, che determina lo stile e la proprietà di linguaggio nella scritta del nome. Allo stesso modo nel tempo e con l espansione di questo fenomeno, l evoluzione della propieta di linguaggio dello stesso fenomeno si sono generate, con scopi assai diversi, si sono generate le differenti classi, poi generi, e le loro specie….
Non penso che il mondo accademico abbia molto apprezzato la tesi contenuta nel mio libro. Forse neppure il mondo dei curatori lo ha apprezzato e credo che il mio lavoro non sia stato capito neppure da molti writer. Eppure, la tesi contenuta nel mio libro è utile perché mostra un modo diverso di vedere il fenomeno del writing e dell’arte urbana. Ho sicuramente voluto portare un mio contributo, frutto di una esperienza diretta. Il testo che ne deriva è sicuramente limitato e con alcune imprecisioni da rivedere; tuttavia esso rappresenta un inizio ed uno spunto per cambiare l’orizzonte della critica e stimolare una comprensione del fenomeno che non patisca le forme e gli schemi interpretativi di una visione puramente accademica dell’arte che non sa tenere conto del soggetto (la comunicazione) e della scena in cui questa comunicazione nasce e continuamente si alimenta.

