WRITING

Intervista a Moe (Adda, PK, TDT, NG)
di Pietro Rivasi

Moe (Adda, PK, TDT, NG), uno dei primi writer arrivati a Bologna per motivi di studio, ha lasciato alla città più di qualche traccia sui muri e, sicuramente, ha portato a casa con sé qualcosa in più di una laurea.
Chi
Moe
Crew
Adda, PK, TDT, NG

Intervista a Moe (Adda, PK, TDT, NG)

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WRITING

Intervista a Moe (Adda, PK, TDT, NG)
di Pietro Rivasi

Moe (Adda, PK, TDT, NG), uno dei primi writer arrivati a Bologna per motivi di studio, ha lasciato alla città più di qualche traccia sui muri e, sicuramente, ha portato a casa con sé qualcosa in più di una laurea.
Chi
Moe
Crew
Adda, PK, TDT, NG
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Moe (Adda, PK, TDT, NG), uno dei primi writer arrivati a Bologna per motivi di studio,  ha lasciato alla città più di qualche traccia sui muri e, sicuramente, ha portato a casa con sé qualcosa in più di una laurea.

Quando hai sviluppato interesse verso il writing e/o arte urbana più in generale?

Sono nato e cresciuto in un paese a quindici chilometri da Milano, sulle rive del fiume Adda e il mio percorso di avvicinamento al writing è stato un processo lento e lunghissimo. Fin da piccolo sono sempre stato affascinato dalle scritte sui muri. Il primissimo ricordo che conservo è quello di un “MSI fuorilegge” in corsivo, realizzato a pennello. La scritta era dietro casa mia, sul muro di una ditta, e lì è rimasta fino a pochissimi anni fa. Mi affascinava perché pensavo provenisse da un passato remotissimo mentre ho realizzato solo da adulto che la campagna per l’MSI fuorilegge era del 1974 e la scritta non poteva dunque avere più di dieci anni quando l’ho notata per la prima volta. Quindi la primissima attrazione è stata per le scritte a carattere politico e poi quelle dei gruppi Ultras. Dell’Aerosol Writing, i graffiti, me ne sono accorto invece attraverso i film e i telefilm americani degli anni Settanta e Ottanta che passavano in Tv quando ero bambino. Si vedevano scorci di paesaggi urbani con pezzi e tag. Quei (di)segni mi affascinavano ma li percepivo come appartenenti a una cultura altra, lontana, quella americana dove nei film si chiamavano “amico” e usavano sempre la parola “fottuto”. In casa mia si parlava il dialetto milanese. Mondi lontanissimi, realtà inconciliabili. Attrazione a parte avevo molti dubbi e un’unica certezza: i graffiti esistevano ed erano sulla metro di New York, nulla più. All’epoca era un luogo comune universale a proposito di quella città. Durante gli anni delle scuole medie ero solito uscire con un pennarello in tasca, abitualmente un Uni-Posca, per scrivere in giro, spesso però non sapevo cosa. Il problema si è risolto quando ho incontrato la sottocultura Ultras e giovanissimo ho cominciato a frequentare lo stadio e il palazzetto dello sport. Adesso sapevo cosa scrivere: il nome del gruppo. Presto però ne ho percepito il limite, si trattava di sigle collettive condivise con un sacco di altre persone con cui avevo in comune solo la squadra del cuore. Cercavo una dimensione che fosse solo mia. La frequentazione del movimento Ultras mi ha lasciato però in eredità un po’ di pratica nell’utilizzo della vernice spray, nonostante fossi poco più che un bambino ero l’addetto agli striscioni che realizzavo proprio con le bombolette, con la vernice avanzata scrivevo in giro il nome del gruppo.

Nella mia vicenda personale l’anno cruciale è il 1989, un giorno di fine estate mi accorgo per la prima volta dei disegni presenti sulle pareti delle stazioni della metro di Milano. Non capisco ma rimango a bocca aperta, soprattutto non sono in grado di leggere queste scritte ma percepisco subito una cosa che segnerà il mio destino di writer: non mi piacciono i disegni troppo colorati ma quelli tondeggianti realizzati con un colore per l’interno e uno per il bordo. Si chiamano throw up ma lo scoprirò solo anni dopo.

A novembre, a causa del crollo del muro di Berlino, giornali e settimanali sono pieni di foto delle stesso visto da ovest, colleziono ritagli solamente perché s’intravedono i pezzi. Provo un sacco di volte a riprodurre quei disegni sulla carta, ma non c’è verso di fare qualcosa che anche lontanamente vi potesse assomigliare. L’attrazione però è troppo forte, l’impatto di quei segni misteriosi troppo potente ma, accidenti, come sono difficili anche solo da ricopiare. Fatico anche a leggere cosa c’è scritto, gli unici che riesco a comprendere sono i generici “Peace”, “Rap” e “Hip Hop Don’t Stop” che però mi fanno letteralmente schifo. In quel momento poi non so nulla di cultura Hip Hop, anche musicalmente sono lontano, ho solo tredici anni ma ascolto Sex Pistols, Clash, Pink Floyd, Mano Negra, Bruce Springsteen e i cantautori e cantanti italiani (Dalla, Battiato, Battisti, Conte, Vasco, Celentano…). Di rap conosco solo Jovanotti e i Beastie Boys e in ogni caso non mi fanno impazzire, non so neanche dell’esistenza delle quattro discipline, mi accorgo però che spesso vicino alle cose del rap ci sono immagini di graffiti e questo mi basta per avvicinarmi a quella musica che comunque non mi piacerà mai fino in fondo. Sin dall’infanzia poi sono amico di un ragazzo, che da lì a poco tutti chiameranno Daze, lui si stava avvicinando al writing per conto suo e da tempo faceva degli esperimenti sia su carta sia con gli spray.

Cominciava a capire i meccanismi di quest’attività. Insieme abbiamo provato a fare il nostro primo pezzo nel sottopassaggio della stazione imbiancato di fresco… con i pennarelli. Ricordo che il suo era venuto bene, aveva già un’idea del lettering e della prassi di scrivere un nome che ti rappresentasse, io invece avevo scritto una roba a caso e disegnato la Union Jack. Senza senso.

Era l’estate del 1992 e dopo quest’esperienza abbiamo lasciato stare per un po’, poi un colpo di fortuna inatteso, un giorno sul pullman di ritorno da scuola un ragazzo più grande di me sta esibendo con orgoglio un libro che suo zio, di ritorno dal viaggio di nozze a New York, gli ha portato in regalo, si tratta di Subway Art. Il Sacro GRAAL di tutti i writer dell’epoca, io non lo conosco ma capisco che è quello che sto cercando. Lo imploro in ginocchio di prestarmelo, me lo concede fino al giorno successivo. Scendo dal pullman e corro da Daze, suo padre ha in casa una fotocopiatrice, copiamo le pagine che ci sembrano più interessanti. È l’autunno del 1993 e qui comincia davvero la mia attività di writer. In breve tempo entriamo in contatto con Mite, Lele/Aceto e Then, ragazzi di poco più anziani ma con una discreta esperienza alle spalle. I primi anni, quelli della scoperta, sono memorabili, ingenui ed entusiasmanti. Senza ombra di dubbio la parte più interessante della mia vita di writer, gli anni successivi saranno in certo senso quelli della routine.

Come era la situazione nella tua città all’epoca, c’erano già segni riconducibili a questi movimenti quando tu hai cominciato?

In quel momento nella mia zona non c’era praticamente niente, solo un paio di pezzi misteriosi di fine anni Ottanta, abbiamo cercato a lungo di metterci in contatto con l’autore o gli autori ma non siamo mai riusciti a individuarli. Le uniche cose che si vedevano nel nostro territorio erano prodotte dalle persone con le quali ero entrato in contatto fin da subito. La cosa singolare è che nel mio paese e in quelli limitrofi negli stessi anni cominciavano a disegnare anche altre persone molte delle quali avrebbe dato vita o fatto parte di realtà di grande rilievo negli anni successivi.

Che attinenza ha tutto questo con Bologna e l’Emilia Romagna? Nessuna, è evidente, ma era necessaria questa premessa per definire chi sono quando nel 1997 arrivo a Bologna: sono un ragazzo di diciannove anni con quasi un lustro di esperienza alle spalle nel mondo dell’Aerosol Writing, nonostante questo mi percepisco come uno che ci sta ancora provando. Fatico a considerarmi un writer a tutti gli effetti. Bologna cambierà tante cose in questo senso.

Quali sono i primi segni che hai visto dal vivo e ti hanno colpito e perché?

Già dalla prima metà degli anni Ottanta ero solito recarmi a Bologna due volte l’anno per manifestazioni legate all’attività sportiva che ho praticato per tantissimo tempo. La prima si svolgeva nelle vie attorno l’ARCI Benassi (via Milano, via Mazzoni, via Arno) e nei momenti di pausa delle gare, a partire dal 1994, ho cominciato a esplorare la zona alla ricerca di tracce di writing. Avevo l’abitudine di girare con questa macchina fotografica che mi era stata regalata alla Cresima. Ho scovato in una di queste occasioni, nel cortile di una scuola, dei pezzi di Dado che ho fotografato, l’anno dopo anche un tetto di Oida, scatti che conservo ancora oggi. L’altra gara aveva sede invece ai giardini Margherita e lì avevo visto alcuni pezzi di Rusty, uno di Cap e uno dei TBT che ho scoperto poi essere stata la prima crew di Longe ed Emme. Nell’estate del 1996 sono andato a casa di un’amica che già frequentava l’università, era la prima volta che venivo in città in un contesto di totale libertà, ero infatti già maggiorenne. La mia amica abitava in via Gorizia e quell’unica notte che ho dormito da lei ho fatto un giro di tag, spray bianco e fat oro, ed è incredibile come alcune di quelle scritte sopravvivano ancora a ventiquattro anni di distanza mentre buona parte dei lavori che ho eseguito negli anni successivi sono spariti per sempre. La svolta vera, il mio contatto definitivo con la città, avviene però l’anno successivo, dopo la maturità decido infatti di frequentare l’università a Bologna, non per una scelta precisa legata alla sede ma solo perché la facoltà che avevo scelto era una delle poche che non c’erano a Milano.

A ottobre del 1997 mi trasferisco dunque sotto le due torri. Ci rimarrò fino al 2002. Nel 1997 però avevo dipinto poco e male, ero più concentrato sullo sport e la maturità mi aveva ovviamente rubato del tempo. Il cambio di vita che si prospettava mi stava anche suggerendo di chiudere la mia “carriera” di writer. I miei primi giorni bolognesi erano stati piuttosto solitari e malinconici. Li trascorro da solo in un appartamento di un palazzone in zona San Donato, non conoscevo nessuno, nessuno aveva ancora i cellulari, e nella casa dove mi trovavo non c’erano neanche il telefono e la televisione. Quando volevo sentire una voce amica dovevo chiamare dalla cabina, in strada. Della scena bolognese poi sapevo poco e niente, giusto quello che avevo visto sulle fanzine autoprodotte che circolavano: gli SPA (in realtà sapevo solo di Rusty, Dado e Ciufs), DeeMo e Longe. Basta. Non conoscevo altro, forse solo Cap perché avevo fotografato un suo pezzo. In ogni caso non avevo il coraggio di cercare contatti con persone che non avevo mai visto e che temevo non mi avrebbero accettato in quanto semisconosciuto.

Avevo portato da casa un borsone con dentro tutti gli spray che possedevo, mi sono detto “li finisco a tag e basta. Chiudo”.

Nel giro di poche sere per scacciare noia e solitudine ed esplorare un po’ la città li ho davvero finiti facendo tag e throw up mentre giravo in bicicletta. Fine. Ritenevo quella fosse la fine. Ho deciso quindi di aggrapparmi a uno dei punti fermi della mia vita di allora: lo sport. Succede così che nel tardo pomeriggio di martedì 28 ottobre 1997 mi sto allenando in un parco che scoprirò poi essere chiamato il Cavallazzi, bazzicavo lì perché era sotto casa mia e anche perché c’erano i pezzi e la cosa mi rendeva il luogo famigliare.

Moe e Repo al Cavallazzi, Bologna 1998. Foto archivio Moe
Moe e Repo al Cavallazzi, Bologna 1998. Foto archivio Moe Adda, PK, TDT, NG

Era pomeriggio tardo, già piuttosto buio, umido e c’era un po’ di foschia. Sto correndo quando dietro l’angolo sento il rumore inconfondibile dello spray: c’è un ragazzo, molto giovane e con i capelli lunghissimi che sta disegnando. Mi fermo alle sue spalle per osservare il pezzo che sta facendo. Non riesco a leggerlo, è troppo incasinato, comunque sono sicuro di non aver mai visto altri lavori suoi, né sulle fanze né dal vivo. Vorrei dire qualcosa ma non so come attaccare discorso, ma fa freddo, il parco è deserto e dopo pochi istanti è lui a notarmi, del resto non può non accorgersi di me alle sue spalle.

Si gira, mi sorride e mi dice “ciao, io sono Roberto”.

Throw up di Repo, lungolinea Bologna, 2009. Foto archivio Moe
Throw up di Repo, lungolinea Bologna, 2009. Foto archivio Moe Adda, PK, TDT, NG

Allora non lo sapevo ma avevo appena conosciuto quella che diventerà una delle persone più importanti della mia vita. Gli dico che anch’io disegno e cosa scrivo, mi dice “ah, sei tu quello che ha messo tutte quelle tag in giro”. Dopo una lunga chiacchierata ci diamo appuntamento per la domenica successiva, ma due giorni dopo ci incontriamo in strada, per caso. Stavo per abbandonare tutto e invece nel giro di dieci giorni mi ritrovo catapultato in un mondo nuovo e più inclusivo rispetto a quello di provenienza, sono come risucchiato da un vortice. Ovunque andiamo tutti conoscono Roberto o meglio, Repo. Mi presenta una quantità di persone inimmaginabile, i primi che ricordo sono Rain2, Vortex, Mario/Deega, Fede e altri B-boy ma soprattutto Ekra di Senigallia altro studente fuori sede con cui aveva appena fatto amicizia. Peraltro insieme a Washe (NSB) di Roma e a un certo Wyze, credo di Pescara, eravamo allora gli unici writer forestieri che risiedevano a Bologna per motivi di studio. In questi primi momenti tutti vogliono vedere e conoscere “il ragazzo di Milano”, fatico non poco a spiegare che non faccio parte del “giro grosso” che non conosco di persona quasi nessuno dei nomi leggendari di cui vogliono sentire parlare, che da noi non è così semplice accedere a determinati ambienti, se non fai parte di una élite è difficile avvicinarsi. Per loro è strano, qui la città è piccola, il numero di writer piuttosto ristretto, si conoscono tutti di persona, ragazzini, leggende, toy. Mi accorgo subito che a Bologna si respira un’aria differente. Nonostante anche qui ci siano scazzi la scena mi sembra molto meno meno minacciosa rispetto a quella di Milano e provincia.

KoraOne by Moe, Longe PK - Archivio MOE Adda TDT NG PK
KoraOne by Moe, Longe PK – Archivio MOE Adda TDT NG PK

L’aria rilassata che si respira (di polleggio come dicono loro) è senza dubbio positiva anche se ci sono cose per me assolutamente incomprensibili, su tutte il fatto che i muri siano condivisi, che non esistano cioè le Hall of Fame di una crew o di una singola persona. Pazzesco! Vabbé, il muro che frequento maggiormente è il Cavallazzi (peraltro non ho mai capito se si trattasse di un soprannome dato dai ragazzi o il vero nome del parco sotto il ponte di via Libia), un luogo dove tutti prima o poi passano. Infatti un giorno, tempo dopo, si ferma Dado guarda il mio pezzo, riconosce la tag e mi fa i suoi complimenti. Ne sono molto onorato, ci fermiamo a parlare ma i nostri rapporti non andranno mai oltre, anche in occasioni successive. Vengo subito inviato da Repo e i suoi amici a dipingere insieme a loro e nelle settimane successive faccio la conoscenza anche di alcuni writer di Varese (Sea, Ske e Ragu) e di altri che stanno cominciando a frequentarlo, soprattutto dei ragazzi della Romagna: Enko, Ensy e Hody. I primi mesi sono incredibili, come detto la Bologna del writing è diversa in tutto, anche bombardare è un’attività meno ansiogena. Io e Repo trascorriamo molto tempo insieme. Questo ragazzo è un vulcano: passiamo ore a parlare di graffiti, cinema, musica, letteratura, fumetti… tutto.

È pazzesco perché, pur avendo due anni in meno, ha una preparazione molto più ampia della mia. Tra le tante cose, mi fa conoscere la sua città e mi insegna ad amarla, mi accompagna a visitare qualunque luogo, da quelli istituzionali, turistici fino ai recessi più nascosti e inaccessibili. Io domando, chiedo, voglio sapere. Telefono a casa al mio amico Lele: “ho conosciuto questo ragazzo che dipinge, è pazzesco sa un sacco di cose, devi conoscerlo”, a dicembre del 1997 Lele viene a trovarmi per la prima volta e conosce Repo, con mio grande sollievo lo trova molto in gamba, c’è intesa fin da subito. Tenevo molto al suo parere. Passiamo un weekend di bombing e divertimento. Prima di Natale, Lele è nuovamente a Bologna, dopo Capodanno è Repo che viene a casa dei miei genitori. Gli avvenimenti si susseguono veloci, non me ne sono neanche accorto e in meno di due mesi è cominciata la mia seconda vita di writer. Nel giro di poco, tolti i B-boy, quelli che rappano, quelli che dipingono ma sono meno motivati, si stabilisce un primo nucleo operativo ristretto: Repo, Rain2, Ekra e io. Poco dopo si aggiungerà anche Med. I primi due avevano già una loro crew: SFP, acronimo di Soliti Figli di Puttana, nella quale chiedono di entrare anche a me ed Ekra. É la prima volta in vita mia che mi viene chiesto, le crew alle quali appartengo si sono formate spontaneamente dal nucleo iniziale dei miei amici. Ne sono onorato. Rain2 e Repo hanno quello che io avevo smarrito nell’ultimo anno: la voglia di fare, l’entusiasmo. Me lo trasmettono. Oltre a quello hanno anche una fissa, i treni.

Repo, Moe 1998. Foto archivio Moe
Repo, Moe 1998. Foto archivio Moe Adda, PK, TDT, NG

A me non sono mai interessati molto, generalmente quando dipingo illegale eseguo throw up e blocchi a biancone, non vado molto d’accordo con i colori. In ogni caso per un po’ li assecondo e dipingo in Suburbana e in Ravone. Per tutto il 1998 siamo sempre insieme. Nei fine settimana confluisce su Bologna gente da altre città, amici e amici di amici con i quali si va a dipingere, in queste occasioni faccio la conoscenza di Abik e Rakto (poi Blu) e più avanti anche di Dasti, Soev, Zelda e Neoh. I primi tre fanno parte insieme a Ekra, degli SNC di Senigallia, persone alle quali rimarrò per sempre legato da stima e amicizia.

Repo è una persona molto inclusiva, invita tutti a dipingere, anche individui a mio avviso discutibili, dopo l’entusiasmo iniziale questa cosa diventerà tra noi due motivo di frizione. Lui non capisce perché io non voglia andare a dipingere se ci sono persone esterne al nostro nucleo, io non capisco come lui non possa capire e m’incazzo, la verità è che sono piuttosto geloso della nostra intesa. Nel corso del 1998 faccio la conoscenza anche di Longe, ci frequentiamo ma inizialmente non disegniamo mai insieme. Lui è orfano della sua crew, gli RB (Ravone Burners) e dopo anni di bombing assiduo sui treni si è preso una pausa. Verso la fine dell’anno conosco anche Miche e Phoebe che insieme a lui formano i PK, una sigla presente da tempo (ne avevano fatto parte anche Chob e Lego) e che Longe decide a questo punto di “rilanciare”. Mi prendono in simpatia, ci vediamo spessissimo e di lì a poco mi chiederanno di entrare nella crew. Non mi ritengo all’altezza, tentenno ma alla fine cedo. A gennaio del 1999 conosco More e, soprattutto, Grom con il quale si instaurerà da subito una grande intesa operativa e una forte amicizia. Per oltre dieci anni sarà il mio partner principale soprattutto sul versante bombing.

È questo un periodo incredibile, la vita corre a mille all’ora, ogni sera qualcuno mi chiama per andare a dipingere, coi PK cominciamo una session di bombing cittadina in parallelo ai neonati BBS. Nonostante molte delle persone che ho menzionato si conoscano, in quel momento fanno parte di gruppi separati. L’unico che frequenta tutti sono io.

PK & PK di Miche - Longe - Moe, Bologna 1999. Foto archivio Moe
PK & PK di Miche e Longe; Moe, PK di Phoebe, Bologna 1999. Foto archivio Moe Adda, PK, TDT, NG

Nel giro di breve fortunatamente diventiamo una cosa unica, il fatto singolare è che, escluso Longe, sono tutti più giovani di me. Non mi era mai successo, ero sempre stato il più piccolo di tutti i gruppi di amici di cui avevo fatto parte. Comunque l’intesa è perfetta e il fatto di girare con loro mi garantisce un posto all’interno della scena locale, ne sono felice, io non volevo assolutamente essere percepito come il fuorisede, il forestiero, volevo essere parte della scena cittadina. In qualche modo ci riuscirò ma lo capisco anni dopo quando su alcune fanzine vedo pubblicati i miei pezzi con l’indicazione Bologna.

Dove c’è pochissima intesa è invece sul versante stilistico, abbiamo gusti totalmente differenti. Anche a livello di bombing nei primi tempi abbiamo un po’ di difficoltà a coordinarci. Per me bombing significava esclusivamente due spray, in media nero e argento, e throw up. Loro invece si presentavano sempre con tre o quattro colori almeno, “tu come lo fai lo sfondo? di che colore fai il pass?” “Sfondo? Pass? In che senso”? Ci ho messo un po’ ad adeguarmi ma finiremo a influenzarci a vicenda, soprattutto con Repo e Grom. A questo proposito, mi piace citare un’intervista di Repo per Wildstylers di una ventina di anni fa in cui diceva che la passione per tag e throw up gliel’avevo trasmessa io…. a me non lo aveva mai detto.

Throw up con "passepartout" o "overline" - Grom e Moe 2001 - Archivio Moe TDT Adda NG PK
Throw up con “passepartout” o “overline” – Grom e Moe 2001 – Archivio Moe TDT Adda NG PK

Sempre nel 1999, Repo decide di dar seguito alla richiesta di alcuni suoi amici australiani di una crew chiamata BSA di creare il capitolo italiano della stessa. Mi fa l’onore di chiedermelo per primo, tra noi il momento è un po’ teso a causa dei dissidi cui facevo cenno in precedenza, faccio l’offeso e dico testualmente “che non m’interessano le crew create per corrispondenza”. La risposta è stupida e inutilmente risentita ma lui, per carattere, è al di sopra di queste cose e non se la prende, rimarrò per sempre l’unico del nostro giro stretto di amicizie a non essere in BSA. Modalità a parte, non me ne sono mai pentito ma la cosa ha per effetto che, nonostante dipingeremo insieme per i vent’anni successivi, non sarò mai più in crew con Repo. In questo periodo lui si concentra sui treni, soprattutto insieme a Neoh, a me dei treni interessa relativamente e poi faccio coppia fissa con Grom. Insieme bombardiamo, esploriamo e ci divertiamo un sacco. Siamo due persone profondamente diverse, abbiamo anche due stili lontanissimi tra loro ma riusciamo a trovare un’intesa perfetta, soprattutto quando lui si appassiona alla pratica del throw up, da sempre il mio terreno preferito. Sono anni densissimi in cui adrenalina, divertimento, scazzi, si mischiano in una danza senza senso a cui so dare un solo nome: giovinezza. La mia giovinezza. I miei vent’anni.

Verso la fine del 1998 avevo riallacciato i fili dell’amicizia con Mite (VMD70’S) con il quale mi ero un po’ perso di vista, quindi durante i periodi di permanenza lontano da Bologna avevamo ripreso a dipingere insieme. Nell’agosto del 2000, io lui e Lele, partiamo per un lungo viaggio in Danimarca che segna un nuovo inizio, una nuova fase della mia esistenza di writer, prende corpo la crew TDT, che formalmente esisteva già dall’anno precedente. Dato il legame strettissimo che oramai ci unisce viene naturale coinvolgere anche Grom. Siamo sempre gli stessi di sette anni prima ma abbiamo più slancio e la nostra Emilia Connection funziona da volano. A gennaio 2001 tramite Grom credo, conosciamo un ragazzo di Modena, Swing (059) con cui andiamo una sera a fare dei bombing in linea, dietro la Maserati.

TDT di Moe presso ex Acciaierie Ferriere di Modena, circa 2000. Foto archivio Moe
TDT di Moe presso muro perimetrale delle ex Acciaierie Ferriere di Modena (ora abbattuto), circa 2000. Foto archivio Moe Adda, PK, TDT, NG

Cominciamo in questo periodo a frequentare Modena dove, in quegli anni prende vita una delle manifestazioni di writing più importati del primo decennio del nuovo secolo: Icone. In una delle varie edizioni di Icone avrò la fortuna di conoscere e stringere amicizia con uno dei writer italiani più stilosi di sempre: Noem da Pesaro. Questo 2001 è un po’ il mio anno d’oro soprattutto per quanto riguarda il bombing, in estate anche Longe entra a far parte dei TDT.

Ad aprile 2002 rientro definitivamente a casa per preparare la tesi di laurea e poco dopo ricevo la chiamata per il servizio di leva. Ancora una volta penso che tutto sia finito ma mi accorgo presto che il legame che si è instaurato è talmente forte che non saranno i duecento chilometri che separano Milano da Bologna a chiudere questo capitolo della mia vita.

Oramai Bologna è diventata una parte di me. Da qui in avanti inizia una nuova fase altrettanto intensa. La frequentazione non è più ovviamente quotidiana ma, anche grazie a Internet e l’ormai onnipresente telefono cellulare, siamo costantemente in contatto. Se da un lato con alcune persone ci perdiamo di vista (Med, Phoebe e Miche) con tutte le altre, se possibile, il legame si intensifica ulteriormente anche perché nel frattempo, loro hanno fatto conoscenza e amicizia con Wilma, un writer di Vignola, in provincia di Modena. Anche con lui scatta immediato il feeling, Wilma ha grandi doti organizzative e per alcuni anni diventa l’animatore di una serie di eventi più o meno legati al writing nel quale non manca mai di coinvolgere me, Mite e Lele, che a questo punto siamo la sponda milanese di questa sorta di famiglia allargata che si snoda sull’asse Milano-Modena-Bologna-Pesaro-Senigallia. Per pura combinazione Grom, proprio in questo 2002 si trasferisce a Milano per frequentare lo IED, riusciamo quindi a tenere viva la nostra partnership di bombing. Il mercoledì sera lo vado a prendere e disegniamo a Milano o sulle linee ferroviarie in zona, nel weekend spesso scendo a Bologna da lui o è lui a fermarsi a casa mia. Quando non è così, ci ritroviamo a Vignola con tutti gli altri, insomma è un viavai continuo, nel giro di pochi giorni riusciamo a vederci più volte anche se in posti diversi. Ricordo che in una settimana siamo riusciti a fare diciassette bombing tra Milano e Bologna. Oltre a lui, in questo periodo vedo più che altro Wilma che non a caso confluirà in TDT nel 2004, anno in cui l’esperienza milanese di Grom termina. Con Repo invece dal 2004 a maggio 2006 ci vediamo poco anche perché si è temporaneamente stabilito a Londra per questioni lavorative, la frequentazione ricomincerà in maniera assidua al suo rientro.

A partire dal 2004, 2005 i rapporti con tutte le persone che ho menzionato sono troppo saldi e fraterni per continuare a parlare di amicizie tra writer, il writing ormai c’entra poco, spesso la murata o il bombing sono il pretesto per stare insieme. Le relazioni maturano soprattutto dal punto di vista umano, non è più solo il writing a unirci, subentrano altre iniziative legate alla creatività, sono anni di festività e vacanze insieme, viaggi, matrimoni, lutti, nascono i primi figli e così via. È evidente come tutto questo abbia poco a che vedere con il writing, si tratta della vita stessa, condivisa con queste persone che sono quelle che le danno un senso. Incredibilmente però, su quel versante, teniamo botta e continuiamo a bombardare, nel triennio 2009-2011 in particolare ci concentriamo sulla TAV che ha regalato alla scena bolognese chilometri di superfici da colpire, abitualmente siamo io, Repo e Grom, spesso si aggiungono More, Wilma, Longe, Mite, Zelda, Noek, Swing e Fenx, altro writer di Vignola entrato a far parte del giro. Con Grom, e Repo andiamo più volte a far visita agli amici a Pisa, Pesaro, Senigallia e Jesi, quest’ultima è la città di provenienza di Mosone, entrato da poco in SNC e ultimo acquisto di questa nostra bislacca famiglia.

Sono senza dubbio anni di divertimento pazzesco, forse il canto del cigno della (mia) gioventù visto che oramai abbiamo raggiunto tutti o quasi la trentina. In questi anni casa di Repo e di Francesca, la sua compagna, diventa una sorta di punto di incontro, di ritrovo di tutto questo universo amicale, un luogo dove assaporare oltre al buon cibo anche il gusto dello stare insieme.
L’ultimo rush lo vivo tra il 2013 e 2015, periodo in cui dipingo numerosi pannelli con Repo e ogni tanto con Migg (SWOC) l’unico dei ragazzi “più giovani” di Bologna che abbia conosciuto e frequentato.

È solo raccontando questo percorso che mi rendo conto di quanto sia stato bello e di quanto io sia stato fortunato a incontrare Bologna. Rileggendo queste righe sembra si tratti di un sogno, un sogno lungo più di vent’anni che ha avuto però un brusco risveglio. Proprio mentre si apprestava a coronare il desiderio a lungo cullato di trasferirsi a vivere in Inghilterra con Francesca e la loro figlia Clara, a Repo viene diagnosticato il cancro. Dopo una malattia tanto breve quanto crudele Roberto “Repo” Malpensa ci lascia il 5 ottobre del 2019, a soli quarant’anni. Gli ultimi momenti insieme sono tra i ricordi più preziosi della mia intera esistenza.

Alla sua decisione di spostarsi all’estero, per la prima volta, ero stato capace di immaginare un nuovo inizio, una nuova stagione…

Argentoni in linea - BSA TDT XYZ 2009 - Archivio Moe TDT PK NG Adda
Argentoni in linea – BSA TDT XYZ 2009 – Archivio Moe TDT PK NG Adda

Credi che ci siano stati dei locali o delle situazioni, istituzionali o meno, che possano aver contribuito al loro sviluppo?

Senza dubbio jam come quella del Barcellona Disco a Rimini del 1989, le varie edizioni del Tinte Forti a Bologna e dell’Indelebile, ancora a Rimini, hanno svolto una ruolo enorme nel definire l’esistenza e le dinamiche della scena italiana a inizio anni Novanta. Per ovvie ragioni a me era giunto solo l’eco di questi eventi quindi, rispetto al periodo di mia competenza posso affermare con sicurezza che Icone (a Modena e provincia), in tutte le sue declinazioni (Icone Summer ed eventi collegati), è stata la situazione che più di tutte ha contribuito alla crescita del Movimento in Italia. Ho personalmente preso parte a tutte le edizioni, tranne una, anche se a essere sincero posso dire che la mia presenza fosse dovuta più che altro all’amicizia che mi legava a Pietro, anima dell’evento, e al fatto di essere in crew con Wilma diventato negli anni una delle colonne portanti di Icone. Non ero certo lì per meriti acquisiti e forse ho anche tolto spazio a ragazzi più meritevoli ma col senno di poi posso tranquillamente dire: “chissenefrega”, l’importante è esserci stato, avere partecipato, perché nel giro di poco tempo Icone e i suoi eventi collaterali sono diventati un po’ un appuntamento fisso, un’occasione in più, per potermi incontrare con tutti gli amici di cui parlavo in precedenza.

Nel tempo, come è evoluto il tuo rapporto con queste forme d’espressione?

Sembra brutto dirlo ma il mio rapporto non si è mai evoluto; nella pratica ho mantenuto intatta la passione, la voglia (la fotta, in gergo) che avevo all’inizio e questo mi ha spinto ad andare avanti ben oltre il dovuto, in generale invece ho sviluppato grande insofferenza e mi sono allontanato dall’ambiente dei graffiti, un po’ per questioni anagrafiche, e un po’ perché da molto tempo non mi ci riconosco più. In generale ho profonda antipatia per chi di questa cosa ne ha voluto fare un mestiere o trovare significati altri (e alti) rispetto alla matrice culturale, con i dovuti distinguo locali, che ha generato questo fenomeno. Ormai sono solo un vecchio brontolone a cui non va bene nulla del contemporaneo, ragione per la quale me ne sto sulle mie.

Hai una opinione rispetto al modo nel quale queste forme si sono evolute nell’arco degli anni, fino ad oggi?

In virtù di quanto detto poc’anzi la mia opinione su questa evoluzione non è per nulla lusinghiera, ritengo che ci siano state fino alle soglie del millennio una crescita e una maturazione di questa cultura (faccio riferimento ovviamente al solo ambito nazionale), esponenziali a partire dalla metà degli anni Novanta, poi, complici le nuove tecnologie, l’eccessiva esposizione a un pubblico non più di soli addetti ai lavori si è persa completamente la specificità di sottocultura ed è diventata una delle tante cose che oggi si può scegliere di fare. Credo che questo fenomeno sia morto e sepolto in termini di produzione di significati, tolto qualche singolo talentuoso, da decenni oramai assistiamo a una ripetizione infinità degli stessi canoni, da anni poi è diventato poco meno che uno sport estremo o un’occasione lavorativa per ragazzi bravi a disegnare, a seconda della predilezione per il bombing o i lavori legali. Non faccio eccezione, sono anch’io la copia della copia della copia di cose già viste altrove… questo non toglie che sia sempre bello e divertente andare a dipingere. All’estremo opposto, sono fortemente contrario all’inquadramento dei lavori dei writer all’interno di circuiti culturali istituzionali, l’unica cosa che concepisco è il racconto di questo universo in una prospettiva storicizzante, ma lo ripeto: sono un vecchio brontolone. Prendete le mie opinioni per quello che sono: niente.

C’è un pezzo, una tag, che per te meriterebbe di essere riconosciuto istituzionalmente come rilevante dal punto di vista socio-storico-artistico-culturale per lo sviluppo di queste forme d’espressione?

Vorrei essere ecumenico e citare il celebre pezzo di Vulcan e Phase II alla Bolognina, in realtà il mio preferito di sempre rimane il blocco argento Gino X sul cisternone di via Ranzani… mi pento di non averlo mai fotografato.

Phase 2 e Vulcan a Bologna - foto archivio Texas
Phase 2 e Vulcan a Bologna – foto archivio Texas

In fede
Moe (Adda, PK, TDT, NG)
giugno 2020